leader a pezzi

In Israele muove i primi passi la coalizione dei traditi

Un gruppo che comprende destra, sinistra e partiti arabi, che dovrà dimostrare di essere competente, di saper fare progetti, leggi e riforme che non abbiamo come unico obiettivo il leader del Likud

Micol Flammini

Lapid riunisce Bennett, Sa'ar, Lieberman e altri ex del primo ministro, la chiama la "coalizione del cambiamento", ma finora sembra un'alleanza che ha un solo punto in comune: tenere Netanyahu lontano dal governo. Il futuro di una vendetta politica collettiva

Roma. Yair Lapid, leader del partito di centrosinistra israeliano Yesh Atid, potrebbe riuscire in un’impresa insperata. Si è messo al crocevia dei traditi, degli scontenti, dei feriti dal premier in carica Benjamin Netanyahu e sta cercando di formare la “coalizione del cambiamento”. Così la chiama lui, e cambiamento è il termine con cui Lapid cerca di offuscare i malanni  di questa alleanza tra partiti di destra e di sinistra che in comune ha soltanto la volontà di mandare via Netanyahu. Lapid ha ricevuto l’incarico di formare un governo dal presidente Rivlin e ieri a casa sua ha accolto i suoi opposti: Naftali Bennett, leader del partito di destra Yamina, e Gideon Sa’ar, un ex membro del Likud di Bibi che ha formato una sua fazione che, come Yamina, si colloca più a destra del Likud. Se le cose andranno bene, si formerà un governo di unità nazionale con premiership a rotazione. Il primo a servire sarà Bennett, con i suoi sette seggi sui centoventi della Knesset, e poi toccherà al leader di Yesh Atid. 

 

 

Lapid, Bennett e Sa’ar sono tre ex di Benjamin Netanyahu, e quello che sanno è che il premier, qualora dovesse passare all’opposizione, farà di tutto per  portare il paese verso una quinta elezione. Alla porta della coalizione del cambiamento, della coalizione dei traditi, hanno bussato altri ex, come Avigdor Lieberman e Zeev Elkin, ognuno con  pretese diverse, a volte divergenti. Lapid ha detto che la sua coalizione “avrà un semplice obiettivo: portare il paese fuori da questa crisi economica, sanitaria, politica e soprattutto la crisi dentro di noi, dentro al popolo di Israele”. Se il governo dovesse  formarsi, il primo compito sarà dimostrare la sua competenza, di essere in grado di fare leggi, riforme, progetti che non abbiamo tutte a che fare soltanto con Netanyahu. Altrimenti vincerà uno dei grandi argomenti del premier: “Soltanto io so guidare questo aereo”, dimostrare che senza Bibi Israele va avanti. Netanyahu è premier dal 2009, e dopo aver vinto le ultime elezioni del 23 marzo non è riuscito a mettere insieme una coalizione per governare: in pochi si fidano ancora di lui tra i capi  dei partiti politici. In pochi credono alle sue promesse di alleanze. L’ultima fatta a Benny Gantz – leader di Kahol Lavan che nell’esecutivo di Lapid  sarà ministro della Difesa – di lasciarlo diventare premier dopo i suoi due anni di mandato, non l’ha mantenuta. Ha provato a promettere lo stesso a Bennett, suo ex pupillo, e Bennett non si è fidato

 

Netanyahu definisce i confini della politica israeliana, e questo governo fragile in costruzione vuole essere un argine a lui, che tiene dentro tutto, dalla destra fino ai partiti arabi. Tra i traditi però c’è anche chi, come Bennett, in Bibi, nonostante tutto, continua a vedere un maestro. Se la coalizione del cambiamento si formerà, Lapid dovrà fare molta attenzione non soltanto a tenere unite le varie anime, ma a evitare che ce ne sia una che sappia meglio degli altri come prevalere.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.