Una scena della protesta  del 2018 davanti alla Casa BIanca, contro la diffusione delle armi negli Stati Uniti. (Ansa)

La tirannia della minoranza

Perché l'America non sa diminuire le armi in circolazione

Greta Privitera

Un superstite di Columbine ci racconta la sua battaglia. La proposta di Biden e il rischio del fallimento

Craig Scott conosce la paura che fa stare sdraiati a pancia in giù mentre due compagni sparano alle spalle di altri, senza sosta. Conosce l’odore della polvere da sparo mischiata al sangue, il suono del pianto di decine di madri e padri fuori da un liceo in cui c’è appena stato un massacro. Craig Scott sa tutto e lo racconta ogni giorno nelle scuole d’America perché crede che la sua testimonianza abbia la forza di cambiare un paese che con le leggi fa fatica a cambiare. Mentre Dylan Klebold, 17 anni, e Eric Harris, 18, scaricavano i loro fucili semiautomatici per i corridoi della Columbine High School, il liceo di Littleton, in Colorado, Scott fingeva di essere morto.

 

“Tenevo gli occhi chiusi e cercavo di respirare piano. Accanto a me c’era il mio migliore amico Isaiah, appena ucciso da una pallottola”, dice al Foglio. Il 20 aprile ricorre il ventiduesimo anniversario della strage di Colombine, uno dei mass shooting più sanguinosi d’America. Ieri, a Indianapolis, una nuova sparatoria. Otto persone sono rimaste uccise: nel 2021 le vittime da mass shooting sono già 163 e negli Stati Uniti, ogni giorno muoiono circa 100 persone, uccise da armi da fuoco. Craig e la sua famiglia, con l’associazione Value Up, hanno dedicato la vita a sensibilizzare i più giovani contro la violenza e il bullismo. Le cause, dice, sono la cultura individualistica e la solitudine. “Sarei molto contento – aggiunge – se Biden riuscisse a far passare una legge in grado di prevenire stragi. Ma in 20 anni, non ci è riuscito nessuno.”. 

 

A marzo, dopo le sparatorie in Georgia, Colorado e California, il presidente degli Stati Uniti ha annunciato ordini esecutivi che non hanno bisogno dell’approvazione del Congresso per arginare quella che ha definito “un’epidemia”. Il provvedimento più importante riguarda le ghost gun, le  armi non tracciabili perché costruite con pezzi assemblati acquistati sul web e quindi senza matricola. Un passo avanti, ma ancora troppo poco.

 

E’ difficile capire perché in America nessuna amministrazione, nemmeno quella di Barack Obama rispetto alla quale le attese erano altissime, sia riuscita ad arginare la violenza armata. Che non riguarda solo le sparatorie di massa:  il numero delle vittime da suicidi e litigi familiari è molto più alto. “Avremmo bisogno di politici coraggiosi. Per la maggioranza dei repubblicani al Congresso, il secondo emendamento – che garantisce il diritto di possedere armi – è un dogma”, dice al Foglio Matt Valentine, professore dell’università del Texas e co-autore di “Campus Carry: Confronting a Loaded Issue in Higher Education”. Secondo Gallup, il 60 per cento degli americani è favorevole a leggi più severe sul tema. Ma in alcuni stati, come Texas, Kentucky e Tennessee, il fucile è una religione e il secondo emendamento è la Bibbia.  

 

Secondo Small Arms Survey, negli Stati Uniti circolano 393 milioni di armi, più d’una per americano, il 46 per cento di tutte quelle di proprietà civile nel mondo. Come ha spiegato il giornalista German Lopez di Vox: “Secondo i ricercatori, gli alti livelli di possesso di armi sono una delle ragioni per cui in America la percentuale di violenza è molto più alta rispetto agli altri paesi occidentali”. 

 

A fermare il cambiamento, c’è anche quella che il New York Times chiama la tirannia della minoranza. Il Partito democratico ha una maggioranza troppo limitata al Congresso, che non basta per cambiare le leggi. C’è una spiegazione ancora più tecnica: il Senato dà pari rappresentanza a ogni stato. La California e New York, che comprendono il 18 per cento della popolazione e sono entrambi a favore di leggi più severe sulle armi, hanno solo il 4 per cento dei senatori. Poi, ci si mettono le potenti lobby come la Nra, che, anche se ha dichiarato bancarotta, ha un’enorme influenza sulla popolazione, e gli errori dei democratici che da 25 anni fanno le stesse proposte e non affrontano il punto principale del problema: ridurre la circolazione di fucili e pistole.

 

Sempre Lopez sostiene che sarebbe necessario un piano delle dimensioni del Green New Deal: “Si potrebbero vietare più tipi di armi – forse tutte le semiautomatiche o tutte le pistole – e pensare a un programma di riacquisto obbligatorio, come in Australia”. Secondo Matt Valentine, Biden ha fatto una cosa buona nominando David Chapman direttore dell’Ufficio che controlla tabacco, alcol, armi da sparo ed esplosivi. “Chapman ha lavorato con l’ex deputata Gabby Giffords, gravemente ferita in una sparatoria nel 2009, e più di ogni altro suo predecessore vuole regolamentare l’uso delle armi. Sfortunatamente, questa posizione deve essere confermata dal Senato”.

 

Valentine racconta che negli Stati Uniti c’è una legge che funziona, ed è quella del 1934, il National Firearms Act, nata perché i mafiosi utilizzavano i fucili mitragliatori Thompson per commettere massacri. “Un atto che si applica solo ai fucili a canna corta e alle mitragliatrici automatiche, ma che obbliga il tracciamento di tutti i possessori e che richiede controlli molto più approfonditi. Biden vorrebbe estendere questa legge”, dice. Valentine è fiducioso e pensa che le cose cambieranno. Così come è successo per molti diritti civili, come con i matrimoni gay. “I giovani non sono rappresentati al Congresso, ma sono il futuro”, dice. Intanto, però secondo lui i singoli stati e le città dovrebbero fare il possibile per avere leggi più severe, dovrebbero combattere l’immunità che l’industria delle armi ha rispetto a tutte le cause civili, grazie al Protection of Lawful Commerce in Arms Act, firmato da George W. Bush nel 2005, e sensibilizzare i possessori. 

 

Quel giorno di 22 anni fa, Craig è riuscito a scappare e arrivare sul piazzale della scuola. Una volta fuori ha preso il telefono e ha chiamato la madre: “Mamma, deve essere successo qualcosa a Rachel”. Se lo sentiva. Rachel era sua sorella, aveva 17 anni ed è stata la prima vittima nella strage di Columbine.

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