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Biden ha un piano per le scuole americane. Il primo passo è riaprirle

Luciana Grosso

Investimenti, difficoltà e una data da cui ricominciare: l'istruzione è in cima all'agenda del presidente. Pronti 130 miliardi, ma il piano di rilancio ha una falla

C’è una data segnata sul calendario di Joe Biden, ed è il 30 aprile. Quella è la data massima che si è imposto per riaprire tutte le scuole d’America. Non stupisce, dal momento che, da sempre, l’educazione è uno dei cardini della sua politica. Joe Biden è convinto che la scuola, quella pubblica, sia la base di ogni ascensore sociale possibile. E che proprio per questo è necessario funzioni meglio e vada più veloce nei distretti poveri, i cui giovani residenti hanno fretta e diritto di salire, crescere, cambiare, imparare. Il problema di Joe Biden però è che la scuola che vorrebbe lui (e con lui anche il segretario all’Istruzione Miguel Cardona) al momento, in America, non c’è. E non solo perché il sistema dell’istruzione americana, come quello di tutto il mondo, è stato rotto dal CoVid, dalle didattiche a distanza e dalle connessioni che non funzionano. Ma perché, nell’America che Biden si ritrova tra le mani, non c’è mai stato.

 

Il problema della disparità scolastica è tra i più gravi e radicati del mondo. Il modo in cui funzionano le scuole in America, finanziate dagli stati e dai mecenati privati, ha creato due sistemi scolastici antitetici: uno eccellente e uno pessimo. Quello eccellente (privato, ma non solo) è quello delle ottime scuole e delle ottime high schools; l’altro, pessimo, è quello delle scuole pubbliche dei quartieri più poveri i cui studenti (per lo più afroamericani, nativi e latinos) secondo ChildrenFund, hanno il 30 per cento di possibilità di non finire gli studi, riportano risultati scarsi o insufficienti nelle abilità di base di lettura, compitazione e aritmetica. Così, la scuola, che dovrebbe essere il posto nel quale le società livellano le loro differenze, in America è il posto in cui le differenze si esacerbano. Per avere un’idea di quanto, basti sapere che secondo il dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti i distretti poveri spendono il 15,6 per cento in meno per studente rispetto a quelli benestanti e che se questa spesa venisse aumentata si otterrebbe non solo un aumento della scolarizzazione, ma anche una riduzione di 20 punti percentuali dell’incidenza della povertà in età adulta.

 

Biden si è ripromesso di aggiustare la scuola americana. Per farlo ha dedicato quasi il 10 per cento del suo American Rescue Plan da 1.900 miliardi alle scuole. Nei dettagli si tratta di 130 miliardi, dei quali circa 50 saranno dedicati a mettere gli istituti in condizione di riaprire in sicurezza nel più breve tempo possibile. Per farlo servirà comprare mascherine, impianti di ricambio dell’aria, disinfettanti, nuove aule per mantenere il distanziamento e nuovi arredi. E soprattutto serviranno nuove assunzioni. In particolare Biden si è ripromesso di assumere più insegnanti, bidelli (per pulire più di frequente aule e corridoi), tutor che tengano aperte le scuole anche in estate, assistenti sociali per occuparsi dei casi più problematici e psicologi che siano in grado di affrontare le (pesanti) ricadute della pandemia e dei lockdown sulla salute mentale.

 

E proprio qui sta il punto più vulnerabile del piano di Biden (e quello che con più forza viene criticato dall’opposizione repubblicana): i soldi che intende stanziare saranno sufficienti ad assumere nuovo e più qualificato personale. Ma non a retribuirlo fino all’età della pensione. Per questo il timore (dei repubblicani ma non solo) è che ci possa essere un effetto rimbalzo che lasci famiglie e studenti ancora frustrati. In particolare si teme che, dopo aver innaffiato i distretti più poveri e più socialmente e scolasticamente fragili di soldi e personale qualificato, poi li si lasci di nuovo orfani di tutto questo, non appena l’erogazione dei fondi dovesse finire. E agli studenti non resterebbe niente altro che la solita vecchia scuola. Immobile come un ascensore rotto.

 

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