Greg Abbott , governatore dello stato del Texas dal 2015 (LaPresse) 

Basta mascherine, tutto aperto. L'azzardo (un altro) del texano Abbott

Luciana Grosso

Da settimana prossima si ricomincia come se niente fosse: "Troppe attività sono fallite. Il Texas riapre al 100 per cento”, ha detto il governatore. Mentre i morti quotidiani, solo nello stato, sono 200

 

Il Texas ha finito la pazienza con il CoVid. A meno di un anno dall’introduzione (pure molto lasca e molto tormentata) di chiusure, mascherine e distanziamento, il governatore Greg Abbott che, un po’ come il suo stato, è trumpiano ma prima ancora texano, ha fatto sapere che, per quanto lo riguarda, l’emergenza è finita. Da settimana prossima si ricomincia come se niente fosse: senza mascherine, senza saluti a colpi di gomito, senza chiusure. “Troppi texani hanno perso il lavoro – ha detto il governatore – Troppe attività sono fallite. Tutto questo deve finire. Settimana prossima il Texas riapre al 100 per cento”.

 

Le parole del governatore sanciscono quel che si sapeva già, ossia che il Texas non ha più intenzione di sottostare alle regole imposte dal virus. Non c’è da stupirsene: il Texas è un posto che ha la tendenza a fare, sempre e comunque, come gli pare, e che mal tollera di dover sottostare alle leggi federali, figuriamoci a quelle imposte dalla natura. Così mentre il resto del mondo si affanna a fare due cose, vaccinare il più in fretta possibile e tenere ancora tutto chiuso per evitare altri contagi, il Texas annuncia che, da settimana prossima, si limiterà a vaccinare e a curare, per quel che si può, i nuovi e inevitabili contagiati. Secondo Abbott il marzo 2021 non è il marzo 2020: ci sono cure, c’è conoscenza, ci sono tamponi. E dunque, visto che le cure ci sono e i vaccini pure, la crisi può dirsi finita, risolta. A chi, come il presidente Joe Biden non solo non è d’accordo ma è terrorizzato dalle scelte del governatore texano, Abbot ripete il vecchio motto trumpiano che la cura non può essere più dannosa della malattia. Negli Stati Uniti però si contano  67mila nuovi casi al giorno e di questi quasi ottomila in Texas. I morti quotidiani, solo nello stato, sono 200.

 

 

La posizione di Abbott, per quanto criticata,  è tutt’altro che isolata. Su posizioni simili ci sono i governatori (tutti repubblicani) di Mississippi, Montana, Iowa, Massachusetts, Florida e South Dakota. Tutte le loro decisioni e le riaperture, più o meno drastiche, appaiono frutto sia di una gestazione politica (la vecchia diatriba tra la posizione dei repubblicani che considerano il Covid poco più che un’influenza e i democratici che la considerano una specie di piaga biblica) sia, nel caso del Texas, della volontà e necessità di dare una scossa a un’economia prostrata da due crisi, una innestatasi sull’altra, quella del Covid e quella del gelo di due settimane fa.

 

Soprattutto appaiono figlie della necessità di dare risposte a chi è esasperato dalla vita a metà cui la pandemia ci ha costretto, da chi non vede l’ora di tornare a lavorare, di restare imbottigliato nel traffico, di uscire di casa, e di lamentarsi per la  ressa di gente dei sabati di shopping. Di chi sta iniziando a pensare che l’esasperazione sia un male non diverso e non inferiore al Covid. È il problema delle exit strategy: correre precipitosi fuori può mettere a repentaglio ogni cosa, anche tutto quel che Abbott ha detto in passato sulla necessità di portare le mascherine, il punto in cui la responsabilità diventa libertà.

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