Lukashenka prende appunti davanti a Putin ma ottiene poco. L'ombra di Navalny

Anna Zafesova

Il vertice tra il presidente bielorusso e quello russo si è svolto in una segretezza quasi totale, tranne una rapida apparizione davanti alle telecamere nel salotto della dacia del presidente russo a Sochi

Nessuna delegazione, nessun giornalista, nessuna dichiarazione finale: l’atteso vertice tra Aleksandr Lukashenka e Vladimir Putin si è svolto in una segretezza quasi totale, tranne una rapida apparizione davanti alle telecamere nel salotto della dacia del presidente russo a Sochi. Gli analisti hanno dovuto ricorrere all’interpretazione del body language e dei segnali subliminali: lo spostamento del vertice dai fasti ufficiali del Cremlino al contesto vacanziero del mar Nero; il fatto che ad accogliere Lukashenka sia andato soltanto il governatore regionale, che gli ha ricordato subito che bisogna mettersi la mascherina; l’evidente posizione subordinata del bielorusso che dalla sua poltrona si protendeva verso Putin e addirittura prendeva appunti; il nervosismo infastidito del presidente russo nell’annunciare lo stanziamento di un credito alla Bielorussia di appena 1,5 miliardi di dollari, dieci volte meno del salvataggio (non riuscito) di Viktor Yanukovich in Ucraina nel 2014. Né l’adulazione sfacciata – Lukashenka si è spinto fino a chiamare Putin “il fratello maggiore” dei bielorussi – né i tentativi di terrorizzarlo con l’imminente invasione della Nato e le proteste fomentate dall’Occidente hanno persuaso il Cremlino ad accogliere il “kartoffenfuhrer” di Minsk in un abbraccio fraterno.

 

Mosca sceglie una linea di relativa prudenza, anche perché poche ore prima dell’arrivo di Lukashenka Putin ha ricevuto una telefonata di Emmanuel Macron che gli ha consigliato di tenersi lontano da Minsk, ma soprattutto gli ha chiesto di “gettare luce immediatamente” sull’avvelenamento di Alexey Navalny. Laboratori francesi e svedesi ieri hanno confermato che il leader dell’opposizione russa è sopravvissuto a un attentato con il Novichok, e per quanto Putin abbia respinto le “accuse infondate”, è evidente che per Mosca sono in attivo nuove sanzioni sia sul caso Navalny, sia sull’eventuale incremento dell’aiuto a Lukashenka. Un rischio che dipende dalla posta in gioco, e per ora il Cremlino conferma i suoi impegni da alleato, senza assumersene pubblicamente di nuovi.

 

Il dilemma di Putin non è di quelli semplici. Schierarsi a fianco di Lukashenka, che ha perso il consenso e si regge soltanto sulle manganellate dei poliziotti ai manifestanti, significa diventare socio del suo fallimento, un lavoro sporco che si può accettare soltanto in cambio di un guadagno cospicuo come l’annessione di fatto della Bielorussia alla Russia, sognata da molti falchi moscoviti e aborrita dal “padre” dei bielorussi che teme giustamente di venire mandato in pensione dai “fratelli maggiori”. Alla vigilia del vertice l’agenzia Bloomberg ha scritto che Putin “non crede che Lukashenka possa andarsene a causa della protesta”, e quindi lo lascia sulla graticola dello scontento, forse nella speranza che finirà per consegnarsi senza riserve ai russi. Secondo indiscrezioni, Mosca insiste perché Lukashenka accorci i tempi della riforma costituzionale che ha promesso, anche se non è chiaro se gli imporrà di farsi da parte a favore di una candidatura del Cremlino. Il miliardo e mezzo russo non mette in sicurezza la vacillante economia bielorussa, ma Mosca non è pronta a sganciare di più. Svetlana Tikhanovskaya, la vincitrice delle elezioni del 9 agosto esiliata in Lituania, ha ricordato che “i russi pagano con le loro tasse i poliziotti che ci picchiano”, e che ogni debito contratto da Lukashenka verrà disconosciuto dal futuro governo democratico. Intanto il premier polacco Mateusz Murawiecki ha annunciato un “piano Marshall” per la Bielorussia che i paesi di Visegrád proporranno al prossimo Consiglio europeo: aiuti economici, investimenti e ingressi senza visto per i bielorussi, condizionati però all’organizzazione di nuove elezioni libere.

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