Vladimir Putin è stato eletto presidente per la prima volta nel 2000, a gennaio ha proposto una riforma della Costituzione per potersi ricandidare anche nel 2024 (LaPresse)

La Russia dei disastri

Micol Flammini

La pandemia non migliora, l’economia va male e il consenso è in calo. Le tre crisi di Putin, che ha sbagliato tutto ma ora cerca l’incoronazione

Quando Vladimir Putin era soltanto un ragazzo, aveva sedici anni, sapeva una cosa: voleva diventare una spia. Si presentò all’ufficio del Kgb di Leningrado e chiese informazioni su cosa dovesse fare per lavorare nei servizi di sicurezza. Un funzionario dell’ufficio gli spiegò che i servizi di sicurezza non prendevano volontari, che per prima cosa avrebbe dovuto finire la scuola, poi avrebbe dovuto scegliere se iscriversi all’università o entrare nell’esercito. Putin chiese quale facoltà sarebbe stata la migliore per fare carriera dentro al Kgb. “Giurisprudenza”, rispose l’uomo. E Putin si iscrisse a Giurisprudenza, con grande sorpresa dei suoi insegnanti, raccontano i suoi biografi più malevoli, perché Vladimir Vladimirovich non era uno studente brillante, tutt’altro. Era svogliato, rissoso, mediocre. Docenti e genitori, già sorpresi dalla sua decisione di prendere una laurea, gli suggerirono di iscriversi in un’università piccola, dove fosse più semplice superare il test di ammissione. Ma Putin non soltanto voleva andare a studiare Giurisprudenza, ma voleva farlo in una delle migliori università del paese, a Leningrado. Si iscrisse, superò il test e, col tempo, divenne una spia. Non è stata mica bravura, scrivono i biografi, quelli meno benevoli, ma tutta ambizione. La stessa ambizione che l’ha fatto diventare presidente anni dopo, perché su questo punto sono tutti d’accordo, i benevoli e i meno benevoli, è diventato presidente per caso e, ormai arrivato alla più alta carica dello stato, non vuole lasciarla ad altri. Non vuole un successore o un delfino, perché nessuno meglio di lui, ex delfino, sa quanto possano essere pericolosi certi successori, soprattutto quelli silenziosi. Resterà lui presidente, nonostante l’età, nonostante la Costituzione prevedesse il limite dei due mandati consecutivi, e nonostante il coronavirus. Per rimanere ha già una tattica: mantenersi in equilibrio sul baratro delle tre crisi che gli si sono parate davanti: crisi sanitaria, economica e del consenso.

 

Putin non vuole designare un successore, sa quanto gli eredi possano essere pericolosi. Soprattutto quelli più silenziosi

La Russia è la terza nazione per numero di contagiati, la pandemia ha avuto degli effetti fortissimi sul sistema sanitario impreparato e soprattutto sull’economia. In un periodo di grande difficoltà, i russi si sarebbero aspettati di vedere il loro uomo forte prendere in mano la situazione, proteggerli, rincuorarli. E’ accaduto il contrario: l’uomo forte si è nascosto. E’ apparso in tv, certo, ha detto e ripetuto che tutto andava bene e che la Russia si sarebbe ripresa e avrebbe trovato un vaccino. Appariva solo, spesso annoiato da questa pandemia che non soltanto sembra non fermarsi – i contagiati hanno superato i cinquecentomila – ma che si è anche messa tra lui e i suoi progetti che quest’anno sono più ambiziosi che mai. La crisi sanitaria ha posticipato due grandi eventi: la parata per festeggiare i settantacinque anni dalla vittoria della grande guerra patriottica (Seconda guerra monsiale) e il voto popolare per abrogare la riforma della Costituzione che, tra i vari emendamenti, gli permetterebbe di ricandidarsi nel 2024. Mentre la Russia scivolava nella crisi sanitaria, erano questi i pensieri del presidente: con una nazione in quarantena né una parata né le elezioni erano possibili. Putin, pur non volendo e dopo diversi tentativi da parte del sindaco di Mosca Sergei Sobyanin di fargli capire quanto fosse grave la situazione, si è deciso in ritardo ad annunciare la chiusura della Russia per la pandemia. Intanto i contagiati crescevano a ritmo di diecimila al giorno, ma il presidente continuava a rimanere lontano e distaccato, continuava a delegare, a lasciare agli amministratori locali il compito di gestire la crisi sanitaria e di fargli sapere come procedeva.

 

L’uomo forte della Russia continuava ad aspettare, si è fatto piccolo, evanescente, inconsistente – una tattica per mantenere meglio l’equilibrio – nel momento in cui gli altri leader mondiali cercavano di dare prova di efficacia e soprattutto di presenza. Mentre tutti aumentano nei sondaggi, come effetto della pandemia, il consenso di Putin ha iniziato a diminuire. Mentre le altre nazioni tendevano sempre di più a riunirsi attorno alla bandiera, i russi quella bandiera la guardavano allontanarsi e il gradimento di Vladimir Putin è diminuito fino ad arrivare al minimo storico, pur sempre altissimo, del 59 per cento.

 

La Russia durante questi tre mesi ha dovuto affrontare molte difficoltà. Il sistema sanitario nazionale partiva già da una situazione di fragilità, molti medici avevano raccontato le condizioni difficili all’interno degli ospedali, e non è stato fatto nulla per cercare, anche se in extremis, di migliorare la situazione. Le crisi internazionali per la Russia sono spesso un’occasione e il primo errore del presidente russo è stato questo: vedere un’occasione laddove c’era soltanto un pericolo. Nei primi mesi della crisi Mosca si è concentrata sul tentativo di tessere una rete fitta di rapporti diplomatici con le nazioni in difficoltà. Il grande show in Italia ne è l’esempio e mentre il Cremlino portava ovunque mascherine e ventilatori polmonari, anche gli Aventa-M che poi hanno preso fuoco negli ospedali di Mosca e San Pietroburgo, i medici chiedevano che si pensasse a potenziare le scorte in Russia. Ma intanto le scorte russe arrivavano in Italia, negli Stati Uniti, nei Balcani, i medici protestavano e qualcuno veniva anche arrestato. Non c’erano occasioni da cogliere, ma soltanto, come è accaduto ovunque, precauzioni da prendere.

 

La Russia post coronavirus sarà probabilmente una nazione più chiusa, il contrario di quello che avvenne dopo Chernobyl’

Più che le difficoltà sanitarie, sono quelle economiche a pesare sulla credibilità di Putin in questo momento. La situazione dell’economia russa è un tassello della crisi internazionale, ma a Mosca è tutto accentuato a causa del rallentamento globale: ancora una volta il Cremlino ha visto un’occasione dove non c’era. A marzo, quando gli effetti del blocco dell’economia cinese iniziava a farsi sentire, Mosca ha rotto il patto con i sauditi sulla produzione del petrolio. Lo ha fatto in funzione antiamericana, voleva essere una rappresaglia dopo che Washington ha bloccato la costruzione del Nord Stream 2, ma si è rivelata una mossa antirussa, che ha messo le catene a un’economia già molto debole. Fare un dispetto agli Stati Uniti, che utilizzano una tecnica di estrazione del petrolio molto costosa, era un lusso che in una situazione normale la Russia avrebbe potuto sostenere, ma non così a lungo. Lo sgambetto non riuscito e orchestrato da uno degli uomini più importanti in Russia, Igor Sechin amministratore delegato della Rosneft, è uno dei motivi per i quali le stime del calo del pil russo sono tra le peggiori – il 40 per cento delle entrate della Federazione russa vengono da gas e petrolio. I russi sanno che la situazione economica peggiorerà, da parte del governo non è arrivato un piano chiaro sugli aiuti di stato e non c’è una strategia. La fiducia in questo presidente così impegnato a mantenersi in equilibrio è in calo e una delle ragione sta proprio negli uomini che gli sono rimasti attorno. Igor Sechin, ex interprete per l’intelligence sovietica, è visto come un pericolo da molti analisti, è una delle principali minacce alle finanze russe: ha causato tre crisi all’interno della Rosneft negli ultimi sei anni. E’ inesperto, il suo massimo merito per essere finito a capo della più grande compagnia petrolifera russa è la sua lealtà verso il presidente dai tempi in cui era il braccio destro del sindaco di San Pietroburgo. Di uomini come Sechin è ormai pieno l’entourage del presidente, che è riuscito a sbagliare un colpo dopo l’altro in questa crisi anche perché non ha buoni consiglieri attorno a sé, ma sottoponendo a rischi così elevati l’economia russa il capo del Cremlino mette a repentaglio uno dei meriti che la popolazione gli riconosce: aver sistemato la condizione finanziaria della nazione.  

 

La situazione sanitaria in Russia non sembra migliorare, ma non sapendo come eliminare questo enorme ostacolo tra lui e i suoi progetti ambiziosi, Putin ha deciso di dichiarare la fine della pandemia. Il coronavirus non è scomparso, i casi sono ancora tanti, ma il presidente ha prima deciso che la sua parata dovrà farsi il 24 giugno e poi che il referendum dovrà tenersi il primo luglio. Nessuno è riuscito a opporsi, il sindaco di Mosca Sergei Sobyanin, che all’inizio dell’epidemia aveva cercato di fargli capire che il virus non se ne sarebbe andato da solo, è stato costretto a dichiarare la fine della quarantena nella capitale e adesso sta organizzando i preparativi per l’evento che prevede sfilate, assembramenti, veterani di guerra assieme ai cadetti sugli spalti, spettatori che sventolano la bandiera russa, strade piene di armi nuove e dei curiosi di sempre che accorreranno a vedere il presidente che presenta la potenza dell’arsenale russo. E’ lo spettacolo con il quale il capo del Cremlino spera che i cittadini si dimenticheranno dei loro problemi almeno per un po’, almeno fino al primo luglio. Il voto non è vincolante, le riforme della Costituzione sono già state approvate, ma serve soltanto a sondare il parere della popolazione, a dare una legittimità ulteriore ai programmi di un presidente in bilico. E se la parata non sarà servita a far dimenticare ai russi, almeno per un po’, le difficoltà della crisi, le autorità hanno in programma di attirare gli elettori con dei premi: circa 128 milioni di euro da distribuire a chi deciderà di andare a votare il primo luglio. Ci sono delle resistenze da parte degli amministratori locali che hanno paura che il referendum farà aumentare i contagi e hanno detto che si opporranno al voto.

 

I contagiati a Mosca non calano, ma Putin ha deciso di dichiarare la fine della quarantena: ha una parata e un referendum da organizzare

Ci sarà anche in Russia un post coronavirus e ci sarà un Putin post coronavirus. Arkady Ostrovsky dell’Economist ha scritto che non sono poche le somiglianze tra la pandemia che stiamo vivendo e la catastrofe di Chernobyl’. I due eventi non si assomigliano per la portata della crisi, né per gli effetti devastanti sulla popolazione, semmai per la gestione di un evento eccezionale che ha costretto la nazione ad abbandonare delle abitudini di vita e una linea di governo. Uno dei problemi principali nel 1986 fu la mancanza di trasparenza e comunicazione tra il potere locale e il potere centrale, Mosca non sapeva cosa stesse accadendo davvero a Chernobyl’. Secondo il giornalista, la struttura verticale del potere russo e la tendenza di Putin a delegare la gestione della crisi agli amministratori locali ha generato un effetto simile: gli amministratori locali non hanno mai fatto arrivare al Cremlino i dati reali della pandemia: contagi, morti, condizioni degli ospedali. E questo ha portato il Cremlino a prendere decisioni sbagliate basate su dati sbagliati. Non è una scusante per Putin, ma il sintomo, come lo fu nel 1986, di un sistema farraginoso, stanco, impreparato e mal organizzato. Chernobyl’ portò dei profondi cambiamenti e l’inizio della fine dell’Unione sovietica, portò apertura, trasparenza, la perestrojka e quello che molti russi ricordano come un grande caos. Se la Russia dopo il coronavirus cambierà, percorrerà invece una strada contraria, quella della chiusura che già era negli ambiziosi progetti del presidente. Putin ha sempre considerato l’apertura di Gorbachev un errore, il passo decisivo che ha condannato l’Unione sovietica al crollo. Adesso non c’è un’Unione sovietica da salvare, il capo del Cremlino ha soltanto una cosa da preservare: la sua presidenza, che ha intenzione di non abbandonare mai. Il coronavirus è stato la più grande causa del calo di consenso, ma il presidente per compensare la perdita della sua popolarità sembra essere deciso a limitare ancora di più le libertà in Russia e a esasperare il suo antagonismo con le altre potenze straniere.

 

Putin è già passato oltre la crisi sanitaria, è già pronto a dimenticare il coronavirus che si è intromesso tra lui e i suoi programmi. Per sopravvivere politicamente ha già una tattica: mantenersi in equilibrio su una Russia sempre affacciata su una possibile crisi, che sia economica, sanitaria o sociale. Allungare il più possibile il momento prima del disordine è quello che può mantenere saldo il regime che lui stesso ha creato e che ruota del tutto attorno a lui. Quello che in apparenza sembra un sistema sempre più precario, che ha dimostrato tutta la sua incapacità di gestire una pandemia, ha ancora una grande capacità di resistenza, gli basta continuare a vivere così, in quell’attimo prima del disordine, in equilibrio. I russi, scrive Tatyana Stanovaya del Carnegie di Mosca, sono sempre più disorientati e temono che le cose possano peggiorare, soprattutto l’economia. Anche per loro è meglio così, meglio l’attimo prima del disordine, meglio fermarsi lì con Putin che rivivere un cambiamento.

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