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“Per costruire il suo ‘nuovo ordine' la Cina deve togliere l'Europa all'occidente”

Giulio Meotti

“Negli ultimi anni la Cina ha cercato di trasformare la dipendenza economica di alcuni paesi in influenza politica”. Parla Antoine Bondaz (Fondation de recherche stratégique)

Roma. “La Cina dominerà il mondo”, annuncia il generale in pensione dell’esercito cinese Qiao Liang in un’intervista al bimestrale di geopolitica francese Conflits. Un altro ex generale, H.R. McMaster, già consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, nel suo nuovo libro “Battlegrounds: The Fight to Defend the Free World” sembra prendere sul serio le minacce di Pechino e scrive: “I leader cinesi credono di avere una stretta finestra di opportunità strategica per rafforzare il loro dominio e rivedere l’ordine internazionale a loro favore”. E questo dominio nella testa dei falchi cinesi passa dall’Europa. Il segretario alla Difesa americano, Mark Esper, ha avvertito che la Cina sfrutterà il coronavirus “per promuovere i propri interessi e cercare di seminare divisione nell’Alleanza atlantica e in Europa”. Scrive su Politico Janka Oertel, direttrice della sezione asiatica dello European Council on Foreign Relations che l’Europa è in una condizione ideale in questo momento per la Cina: “A differenza degli Stati Uniti, i leader europei non hanno incolpato Pechino per la gestione dell’emergenza sanitaria, gli europei vanno costantemente in punta di piedi intorno ai problemi più controversi per mantenere viva la collaborazione sui cambiamenti climatici e il multilateralismo, ma anche per evitare interruzioni fatali nelle relazioni economiche”.

  

Ne parliamo con Antoine Bondaz, esperto di Cina alla Fondation de recherche stratégique di Parigi, molto impegnato in queste settimane ad analizzare la politica cinese in Europa. “Negli ultimi quarant’anni, la Cina ha subìto una metamorfosi in termini economici, militari e sociali. La sola regione del Guangdong equivale ora al 75 percento del pil italiano. E’ con questo notevole sviluppo che il Partito comunista cinese cerca di legittimarsi. Allo stesso tempo, c’è stato un relativo indebolimento degli Stati Uniti e dell’Europa, accompagnato da una perdita di fiducia nel nostro posto nel mondo. Garantire la sopravvivenza del sistema politico rimane l’obiettivo principale del Partito, in particolare attraverso la coesione e la mobilitazione. E’ questa miscela di orgoglio e insicurezza che prevale oggi in Cina nel contesto della pandemia”.

  

La posta in gioco per il regime è dunque politica. “Da diversi anni, abbiamo visto un numero crescente di pubblicazioni accademiche cinesi citare un ‘nuovo ciclo di teoria cinese delle minacce’, sostenendo che gli Stati Uniti, e più in generale l’occidente, stanno cercando di influenzare l’immagine della Cina nel mondo in senso negativo. Le autorità cinesi ritengono di dover rafforzare la propaganda esterna ‘raccontando meglio la storia della Cina e facendo sentire la voce della Cina’, come vediamo con la campagna di comunicazione senza precedenti della diplomazia sul virus. Ritengono di dover evitare di confrontarsi con un fronte occidentale unito e quindi di dover rendere l’Europa neutrale. Mentre vediamo un consenso bipartisan emergere negli Stati Uniti sulla necessità di adottare una politica sempre più solida nei confronti della Cina, l’Europa, al contrario, sembra non avere (ancora?) raggiunto un consenso sulla politica da adottare nei riguardi di Pechino. E’ questa mancanza di consenso che la Cina vuole mantenere”.

  

E sembra seminare bene. In un sondaggio pubblicato il 17 aprile, il cinquanta per cento degli italiani considera la Cina un “amico” (solo il 17 per cento lo pensa degli Stati Uniti). E nella corsa per il potere globale al quale l’Italia dovrebbe essere alleata, la Cina è davanti agli Stati Uniti. Questa strategia non è nuova. “Negli ultimi anni la Cina ha cercato di trasformare la dipendenza economica di alcuni paesi, in particolare in Europa meridionale, in influenza politica al fine di evitare alcune posizioni sfavorevoli assunte dall’Unione europea sui diritti umani, ad esempio. Il paese punta anche sulle tensioni transatlantiche e il multilateralismo al fine di garantire che l’Europa non si allinei agli Stati Uniti. Se questa strategia funzionerà o meno in futuro, si vedrà. Intanto la situazione ci pone un paio di domande fondamentali: cosa vogliamo come europei? Siamo in grado di formare un forte consenso in politica estera?”. Vi è una crescente concorrenza e confronto tra Washington e Pechino. “Non siamo (ancora?) in un contesto di bipolarità e blocchi”, prosegue Bondaz. “Gli Stati Uniti rimangono di gran lunga la principale potenza economica, monetaria, finanziaria e militare del mondo. Siamo in una situazione complessa in cui gli Stati Uniti e la Cina si trovano in una triplice logica di cooperazione, concorrenza e confronto. La Cina cerca di screditare le democrazie, un obiettivo chiaro durante la pandemia, e di promuovere il suo modello di governance, specialmente nei paesi in via di sviluppo. L’ambasciatore cinese in Francia ha dichiarato, ad esempio, che la Cina si sta sviluppando ‘molto meglio della maggior parte dei paesi che hanno adottato un sistema democratico occidentale liberale’. Non si deve temere tanto l’esportazione di un modello autoritario, ma l’esportazione di mezzi tecnici per attuare pratiche autoritarie, anche in Europa. L’uso diffuso del nazionalismo nei media statali e sui social media cinesi è un segno di debolezza, non un segno di potere. Gli europei devono quindi riacquistare fiducia. Non essere proattivi equivarrebbe ad accettare una graduale cancellazione dall’arena geopolitica”. Il rischio, come disse il compianto storico Walter Laqueur, “è la possibilità che l’Europa diventi un museo o un parco di divertimenti culturale per i nuovi ricchi (cinesi) della globalizzazione”.

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