"Goethe nella campagna romana", 1787, Francoforte, Städelsches Kunstinstitut - Johann Heinrich Wilhelm Tischbein

Lettera d'amore alla Germania

Giuliano Ferrara

La merda di toro antitedesca merita derisione in ogni seria discussione pubblica

Nessuno come quel mostriciattolo di stupidità che con una mano brandisce i “Protocolli degli Anziani Savi di Sion” e con l’altra si scaglia contro i tedeschi definendoli nipotini di Hitler sa mostrare l’infinita mediocrità e meschinità dell’odio antitedesco. L’Italia ha il dubbio privilegio, come fosse una cartina di tornasole, di annoverare fra i suoi cittadini un antisemita che odia i tedeschi, uno la cui cultura e ideologia sta bene al caldo nella fatta che lascia l’elefante nel circo. Ma non c’è solo lui. C’è un partito di propagandisti del disprezzo animoso e fanatico, insinuato dentro pezzi dell’establishment della peggiore destra populista, che scommette sui nostri complessi di inferiorità, garantiti per la parte inciprignita degli italiani da vera inferiorità, allo scopo di fomentare il travaso di bile della feccia contro l’idolo della Germania contemporanea, la Repubblica federale tedesca, che è sempre mostruosamente ricca, organizzata, dominatrice e sempre sfrutta le nostre povere borse con l’intermediazione antinazionale dell’Unione europea.

 

 

E’ bullshit, merda di toro. Il “barbaro e secolare nemico” dei titoli dell’Unità durante la Resistenza era il Reich, gonfiato e militarizzato e irreggimentato da una banda di populisti carnefici, che covò e quasi realizzò la soluzione finale della questione ebraica attraverso le sue tecniche di sterminio e impose al mondo l’incubo dello spazio vitale. Quel tipo di tedesco, che fu l’opposto del libero esame scritturale di un Lutero e della filosofia della vita, della scienza, dell’arte e della letteratura di un Goethe o della musica di Bach e di Beethoven, i tedeschi della Repubblica federale, nata dalla elaborazione della sconfitta cataclismatica dell’ultima guerra, lo hanno seppellito per sempre, e ne restano soltanto come scampoli abusivi i fratelli in carne dei populisti europei, una minoranza chiassosa e insidiosa di razzisti e paranazisti che la Germania democratica tiene a bada.

 

 

Parlando con Johann Peter Eckermann un mercoledì 20 aprile del 1825 Goethe annotava che nell’arte “l’arte più grande è quella di sapersi limitare e isolare”. Con i suoi difetti, è quello che ha incessantemente fatto la signora Angela Merkel nei suoi molti anni di cancellierato. Merkel si limita sempre, a costo di isolarsi, di fare un gioco di squadra solo se ce ne siano le garanzie politiche, e non vanta enfaticamente l’ideale della solidarietà, lo applica a un milione di siriani in fuga quando ritiene che sia un vantaggio nazionale e europeo, e lo stesso accadrà per la mutualizzazione del debito, nelle forme possibili, tecnicamente e politicamente (anzi, in qualche modo, attraverso le scelte della Bce di Draghi e della Lagarde, e attraverso altri strumenti approntati e da approntare, è gia avvenuto: senza la concreta, limitata, solidarietà dei tedeschi staremmo con delle gigantesche pezze al culo). Oggi l’isolamento della Germania federale e democratica ha un sapore meno egemonico, visto che avranno anche loro una caduta netta del pil, secondo le stime del Fondo monetario, di appena due punti inferiore a quella italiana, per dire. La differenza, dovrebbero averlo capito tutti, anche quelli del modello della sanità lombarda, non è nello spirito di dominio, ma è nei 28 mila posti di terapia intensiva, nella perfetta e lubrificata amministrazione della sanità territoriale, nella capacità di prevedere le insidie, e di accompagnare, curare gli interessi pubblici con una amministrazione efficace. Quelli che partono sgangherati in corsa contro i tedeschi per lucrare i riflessi tardi di un mito italianuccio da quattro soldi dovrebbero finire dietro alla lavagna e pagare lo scotto della derisione in ogni seria discussione pubblica.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.