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Nuova prova di sottomissione alla Cina

Redazione

Il M5s tenta di depotenziare il golden power. Huawei sul piede di guerra

Il testo del decreto legge che introduce il meccanismo del golden power per le telecomunicazioni, compreso il delicato 5G, è stato licenziato dal Consiglio dei ministri lo scorso 11 luglio, ma durante la prima seduta in Senato per la conversione, l’altro ieri, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Vincenzo Maurizio Santangelo ha detto che l’esecutivo non insisterà per trasformarlo in legge. Il motivo, dice Santangelo, del M5s, è che sarebbe allo studio un disegno organico per disciplinare il tema della sicurezza informatica nazionale. Insomma la fumosa legge sulla cybersicurezza di cui si parla da molto, ma sulla quale Santangelo non ha fornito alcun dettaglio.

 

Nel frattempo il provvedimento resta in vigore fino al prossimo 9 settembre, e di mezzo c’è la sospensione dei lavori parlamentari per l’estate. A pensar male si fa peccato, certo, ma sul caso nel frattempo sono già intervenuti i due player cinesi principali, Zte e Huawei. In particolare quest’ultima, che ha parlato di “discriminazione” proprio nei giorni in cui guarda caso annunciava enormi investimenti in Italia. In un’audizione alla commissione Trasporti della Camera, il presidente di Huawei Italia, Luigi De Vecchis, ha detto: “Abbiamo tentato in questi giorni di avere dei colloqui con i decision maker della politica, ma non ci siamo riusciti”. Secondo De Vecchis un’eventuale esclusione delle aziende cinesi sul mercato europeo delle telecomunicazioni avrebbe un costo di circa 15 miliardi di euro per l’Italia.

 

Già a febbraio il Mise di Di Maio aveva escluso la possibilità di chiudere la porta ai cinesi, così come da sempre sostenuto dal sottosegretario leghista Geraci. Ma lo strumento del golden power è fondamentale per rassicurare i paesi partner dopo la firma, a marzo, del memorandum d’intesa con la Cina sulla Via della Seta. Il testo attuale, che probabilmente il M5s punta ad affossare, sembrava convincente. Prevedeva infatti che l’esecutivo avesse l’ultima parola, con veti o prescrizioni, su contratti e accordi riguardanti il 5G quando sono stipulati tra operatori esterni all’Unione europea. Insomma più che un decreto anticinese, sembra la prima norma europeista del governo gialloverde. E infatti avrà vita breve.