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Lo scandalo non fa più presa

La lezione di Trump, sopravvissuto alla madre di tutte le magagne

Roma. L’unico fra i presenti nell’ufficio della Trump Tower che aveva capito era Jared Kushner: “Sapete, alla fine non penso che sia poi così male”, aveva detto, mandando il sangue alla testa a tutti i consiglieri riuniti per far fronte alla madre di tutte le crisi dell’èra trumpiana. A un mese dalle elezioni, era uscita la registrazione in cui Trump si vantava di poter possedere tutte le donne che voleva, quella del “grab by the pussy” e di tutto l’orrido contorno. Secondo tutti i consiglieri, tranne il genero, il caso avrebbe decretato la sua fine prima ancora di arrivare alle urne. Gli alleati erano fuggiti a dozzine, i finanziatori protestavano, Mike Pence era scomparso, e chiedeva aiuto al Padreterno su come sottrarsi al clima sulfureo. Reince Priebus, allora coordinatore della campagna, aveva messo il candidato di fronte a due opzioni: o subisci la più grande sconfitta nella storia , o lasci correre qualcun altro che ha qualche possibilità di giocarsela. Si sa com’è andata.

 

Il capo dei cronisti di Politico, Tim Alberta, ha ricostruito in modo certosino e cinematografico i giorni di quel dramma allora giudicato letale nel suo recente libro “American Carnage”. Alberta ha il merito di sviscerare quel caso, diventato il simbolo di un’idea che ricorre un po’ ovunque nel presente populista: non c’è scandalo, oltraggio o magagna che attecchisca davvero nella coscienza pubblica e si trasformi in rigetto, definitivo e senza attenuanti, di chi si macchia della colpa. Lo scandalo fa notizia e magari fa venire pure qualche conato agli elettori, ma alla sagra di chi la spara più grossa tutto si porta e tutto si sopporta. Il ciclo delle news che un giorno decreta la morte politica, il giorno dopo può decretare un’inaspettata resurrezione. Qual è il segreto con cui Trump ha schivato un missile che avrebbe disintegrato chiunque altro? Alberta avanza un’ipotesi: il contrattacco. Di fronte alla valanga che si abbatteva, Trump si è scusato il meno possibile e ha invece organizzato una tenace e sfacciata campagna contro Hillary convocando in conferenza stampa le accusatrici di Bill e producendosi nel dibattito elettorale più virulento di sempre. Invece di rifugiarsi tatticamente all’angolo, come un invasato ha menato pugni all’aria senza fare troppi calcoli. E lo scandalo è in qualche modo scivolato via. Qualcuno, nei circoli populisti, deve aver preso appunti.

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