Così Trump tenta di strizzare l'occhio ai dems

Daniele Raineri

Al discorso sullo Stato dell'Unione il presidente americano ci ha fatto dimenticare, per un minuto, di essere uno dei presidenti più polarizzanti della storia. Poi è tornato il solito Donald 

New York. Ieri sera prima del discorso sullo Stato dell’Unione alcuni commentatori si chiedevano quale presidente si sarebbe presentato davanti al Congresso: il Trump del teleprompter, quindi quello che legge impacciato discorsi che sono stati preparati con cura dal suo staff e non contengono passaggi pericolosi, oppure il Trump di Twitter, quello che spara a ruota libera e che fa inorridire molti americani e però accende d’amore la sua base elettorale? Di certo l’inizio è stato da teleprompter, c’è stato il tentativo studiato di tendere la mano ai democratici e si è sentito un tono da unità nazionale: “Il programma di cui parlerò stasera non è un programma repubblicano o un programma democratico. E’ un programma per il popolo americano. Assieme possiamo interrompere decenni di stallo politico. Possiamo ricucire vecchie divisioni, guarire vecchie ferite, costruire nuove coalizioni, forgiare nuove soluzioni e sbloccare quella straordinaria promessa che è il futuro dell’America. Siamo noi quelli che possono prendere questa decisione”. E a quel punto anche Nancy Pelosi, la leader dei democratici al Congresso vestita di bianco come tutte le democratiche ieri, si è alzata per unirsi alla standing ovation, Trump si è girato con un mezzo inchino per farle un cenno di intesa e ringraziamento e un nuova luce è sembrata avvolgere i banchi. Bipartisanship, titolavano in diretta i siti dei giornali che seguivano il discorso passaggio per passaggio. Per un minuto ci siamo dimenticati che Trump è uno dei presidenti più polarizzanti della storia, quindi uno che suscita l’entusiasmo della sua gente e l’odio dei democratici, che preparano una serie di inchieste paralizzanti contro di lui.

    

I passaggi successivi del discorso sono stati molto meno pacifici. Dopo una lunga premessa sull’andamento eccezionalmente positivo dell’economia, Trump ha battuto di nuovo molto sulla necessità di costruire una barriera al confine con il Messico per bloccare l’immigrazione, ha cominciato a parlare con più scioltezza perché sente molto l’argomento – molto più delle cortesie iniziali – ed è di nuovo tornato il solito presidente che è appena uscito da uno shutdown governativo di 35 giorni con cui sperava di forzare l’opposizione dei democratici e di ottenere i miliardi di dollari necessari alla costruzione del muro. E davanti a lui c’erano di nuovo i democratici, che da mesi valutano la possibilità di aprire una procedura di impeachment, anche se soltanto le frange più irruente lo dicono in pubblico. A coprire la freddezza c’era però il rituale dello stato dell’Unione, che prevede molte standing ovation, molti applausi bipartisan e uno sfoggio di compunzione istituzionale. “In teoria non dovreste farlo”, ha scherzato Trump quando le democratiche hanno accolto con una standing ovation una sua frase sull’aumento delle donne nel mondo del lavoro (58 per cento delle assunzioni l’anno scorso) e poi ha detto “restate in piedi perché anche questa vi piacerà” e ha ricordato che a cento anni dall’introduzione del voto per le donne non c’erano mai state così tante donne al Congresso. Applausi, entusiasmo generale, canti “USA! USA” che di solito sono riservati ai passaggi più patriottici che parlano dei soldati e vengono dai banchi dei repubblicani – e tutti hanno glissato sul fatto che il numero così alto di donne elette alle ultime elezioni di metà mandato tra i democratici è con ogni probabilità una reazione a Trump.

   

Per la politica estera, Trump ha annunciato un secondo incontro con il dittatore della Corea del nord, Kim Jong-un, che sarà in Vietnam il 27 e il 28 febbraio, e ha battuto anche sul tasto del ritiro “da guerre infinite” – Siria e Afghanistan – come del resto, ha detto, aveva promesso in campagna elettorale.

    

Ieri a pranzo Trump aveva invitato alcuni giornalisti televisivi – è una prassi – e con loro era stato molto meno bipartisan. Ha detto che vorrebbe che il suo sfidante fosse Joe Biden perché “non è mai stato molto intelligente. Fa della gaffe incredibili. Quando io faccio una gaffe è perché l’ho fatto apposta: non è una gaffe. Quando lui dice qualcosa d’imbecille, è perché è imbecille”. E ha detto anche che spera di non avere troppo danneggiato la candidata Elizabeth Warren, che lui chiama Pocahontas perché la dem rivendica lontane ascendenze indiane, perché trovare anche lei come avversaria in campagna elettorale gli piacerebbe.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)