In Polonia, il clima asfittico di una società divisa, dove non è in scena una lotta di classe ma una lotta tra passato e futuro, è ancora libero (foto LaPresse)

Nella Polonia sotto choc non si fa che discutere (con odio) dell'odio, e delle sue origini

Micol Flammini

Dopo l’omicidio del sindaco di Danzica, ci si interroga sulle origini del clima di paura e di emergenza che si respira nel paese

Roma. Dovrà pur venire da qualche parte tutto questo odio. Dovrà pur avere una sua fonte, una madre, una radice. Dopo la morte del sindaco di Danzica, Pawel Bogdan Adamowicz, ancora si cerca un colpevole. Il ragazzo che lo ha accoltellato domenica è salito sul palco, lo ha colpito due volte, ha afferrato il microfono e ha detto a tutti di essersi voluto vendicare per i cinque anni trascorsi in carcere mentre il partito di cui faceva parte Adamowicz, Piattaforma civica, era al governo. Non è importante chi sia il ragazzo, si chiama Stefan, di lui si occuperà la giustizia, e il PiS è pronto a prendere il meglio di questo processo, a dimostrare la capacità di essere in grado di occuparsi dei colpevoli, anche se il crimine è stato commesso contro un loro oppositore. “Oggi Adamowicz non è un nostro avversario”, aveva scritto su Twitter Beata Mazurek, deputata del PiS, quasi a dire che per un istante il partito di maggioranza aveva sospeso le divisioni, la lotta noi contro loro si era fermata, ma ieri Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito non ha partecipato al minuto di silenzio in Parlamento. Il PiS continua a esortare i polacchi a non saltare a conclusioni premature, li invita ad attendere, aspettare, chiede, per la prima volta dopo cinque anni, di rimanere uniti mentre monta un clima di paura e di emergenza.

 

Il ragazzo di ventisette anni probabilmente verrà condannato all’ergastolo, ma l’odio, il clima asfittico di una società divisa, dove non è in scena una lotta di classe ma una lotta tra passato e futuro, è ancora libero. E’ stato il quotidiano Gazeta Wyborcza a scrivere per primo, subito dopo l’accoltellamento di Adamowicz, che si è trattato di un crimine d’odio e che quel sentimento è ancora in giro, anzi è ormai parte della società polacca. E’ nei media, hanno scritto alcuni giornalisti che hanno inviato una lettera contro l’emittente TVP e contro il programma Wiadomosci che, nonostante la famiglia avesse espressamente chiesto di non strumentalizzare la morte del sindaco e di evitare il più possibile di parlarne, lunedì ha dedicato gran parte dell’edizione all’omicidio, senza astenersi dall’odio. Il programma ha accusato Jerzy Owsiak dell’omicidio, l’organizzatore dell’evento di beneficenza e capo dell’organizzazione che lo promuove, e ha strumentalizzato la vicenda per scopi politici. L’emittente TVP aveva portato avanti dai tempi della campagna elettorale per le amministrative una campagna denigratoria contro il sindaco di Danzica, tanto che Adamowicz aveva deciso di non andare in studio per il consueto dibattito prima delle elezioni.

 

Qualcuno dovrà pur avere la responsabilità per tutto questo odio. E Jan Gross, storico e professore di Princeton, polacco emigrato negli Stati Uniti, aveva detto al Foglio, prima di tutto questo, prima dell’omicidio di Adamowicz, che la nuova classe politica polacca, come i populismi in tutta Europa, ha istituzionalizzato il linguaggio dell’astio, le offese, i cori da stadio, li ha fatti entrare in Parlamento, nelle televisioni, nelle radio. Così ha distorto i lineamenti della società e il PiS, che in Polonia governa con un’ampia maggioranza, ha potuto mettere le mani anche nei media e TVP, la televisione statale polacca, è stata la prima a ospitare questo cambiamento. In Polonia si teme l’odio. L’odio che ha guidato il coltello del ragazzo di ventisette anni c’era già prima, ma ora tutti si sono accorti della sua esistenza. Lo si cerca ovunque, fa paura e sebbene non ci siano prove per accusare il PiS, è stato il partito al governo a trasformare la politica in una lotta identitaria, voi, amanti dell’Europa, contro di noi, fedeli alla Polonia. Il PiS è cresciuto e si è ingrandito e rafforzato negli ambienti di Radio Maryja, l’emittente radiofonica polacca fondata nel 1991, accusata di antisemitismo e di essere vicina alle idee di ultradestra. L’odio si cerca anche lì, negli ambienti vicini alla chiesa. Un sacerdote, Jacek Dunin-Borkowski, dopo l’uccisione di Adamowicz ha scritto su Twitter, in risposta all’hashtag #ModlimySieZaAdamowicza (Preghiamo per Adamowicz), “Non vedo motivi per pregare per lui, è noto per le sue malefatte, forse Gesù ha pregato per Erode?”. Il sacerdote è stato condannato dai vescovi polacchi, allontanato, ma questo non dissolve la paura di come si sta trasformando la società.

 

Non si parla d’altro in Polonia dopo la morte di Pawel Bogdan Adamowicz, si cerca l’odio. Ci si ferma, ci si guarda alle spalle, potrebbe essere ovunque. E’ cresciuto con gli slogan e si è nascosto, fino a esplodere domenica sera sul palco di Danzica. In molti si domandano: “Dove abbiamo sbagliato? Come faremo a liberarcene?”. Intanto il PiS ha deciso che alle prossime elezioni non presenterà un suo candidato a Danzica. Forse è qualcosa, forse hanno capito che è meglio fermarsi.

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