La caccia per fini commerciali delle balene è stata bandita nel 1986. Ora Tokyo ha deciso di riprendersi uno dei suoi business tradizionali. Foto LaPresse

Il Giappone torna a dare la caccia alle balene

Giulia Pompili

La lobby animalista non ferma Tokyo, che si sfila dalla commissione internazionale che tutela i cetacei e si riprende uno dei suoi business tradizionali 

Roma. Abbiamo deciso di uscire dalla Commissione internazionale per la caccia alle balene e ricominciare la caccia a scopi commerciali a partire dal prossimo luglio. L’annuncio da parte del segretario generale del governo di Tokyo, Yoshihide Suga, arrivato oggi, era atteso già da qualche settimana e conferma la strategia del Giappone su un tema molto discusso da ecologisti e non solo. Secondo quanto riportato da Suga in conferenza stampa, la caccia ai cetacei avverrà soltanto nelle acque territoriali giapponesi e nella cosiddetta zona economica esclusiva, mentre verranno evitate le aree dell’Antartide e del Polo sud – le uniche dove attualmente possono cacciare le baleniere.

  

La decisione del Giappone di sfilarsi dalla commissione internazionale che tutela i cetacei ha scatenato gli ambientalisti e le organizzazioni per la salvaguardia della natura, dal Wwf a Greenpeace, che hanno accusato il governo di Tokyo di sfruttare il periodo di fine anno per prendere una decisione che gli avrebbe attirato critiche internazionali. In realtà sono anni che il Giappone minaccia di uscire dalla Commissione se i paesi membri non avessero trovato un territorio di dialogo comune: “Sebbene numerose ricerche scientifiche abbiano confermato che alcune specie di balena non sono più in pericolo estinzione, alcuni stati membri continuano a concentrarsi esclusivamente sulla loro protezione, e rifiutano di accettare qualsiasi passo concreto verso il raggiungimento di una posizione comune”. La caccia per fini commerciali delle balene è stata bandita nel 1986, quando la International Whaling Commission (Iwc) – che in realtà era stata istituita negli anni Quaranta per coordinare la caccia internazionale – ha introdotto il divieto: la pesca eccessiva aveva ridotto di troppo gli esemplari. Dopo un primo decennio di adesione alla moratoria, da vent’anni il Giappone cerca di fare lobby per riprendersi uno dei suoi business tradizionali – che, a dire il vero, negli ultimi anni ha avuto un calo anche nel consumo. Nel settembre scorso, durante l’ultimo meeting della Iwc in Brasile, il Giappone ha presentato una domanda ufficiale per rivedere a livello internazionale il divieto di caccia alle balene per scopi commerciali. La proposta è stata bocciata.

  

A guardare i menu di parecchi ristoranti di Tokyo, quel divieto non è mai stato davvero tale. La carne di balena si trova con facilità, in Giappone, perché le baleniere a oggi sono autorizzate dagli organismi internazionali a svolgere una “funzione di facciata”, cioè cacciare per la ricerca scientifica. E poi, quando lo stratagemma della ricerca non basta, arriva il mercato: la carne di balena è per lo più importata dalla Norvegia, l’unico paese che negli anni Ottanta decise di non aderire alla moratoria e dove la caccia alla balena è da sempre legale. Il problema è sempre più urgente per il Giappone soprattutto per via dell’entrata in vigore, nel febbraio prossimo, del partenariato economico con l’Unione europea, che elimina i dazi sulle importazioni: prima che la balena norvegese a basso prezzo si prenda tutto il mercato nipponico, è bene trovare delle soluzioni sovraniste. Secondo le norme delle Nazioni Unite la pesca deve essere coordinata da istituzioni internazionali, e sembra che Tokyo abbia già pronta una nuova commissione costituita da paesi interessati al business delle balene, come la già citata Norvegia, e poi Islanda, Corea, Groenlandia, Russia, Cina. A parte le preoccupazioni per le specie di balene più a rischio estinzione, che però non dovrebbero essere toccate dal rinnovato business, la notizia della decisione del Giappone contro l’Iwc ci dice anche altro: per l’ennesima volta, di fronte al fallimento del dialogo tra paesi, si ricorre all’uscita dagli organismi internazionali di regolamentazione. Un pattern che vedremo sempre più spesso negli anni a venire.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.