Un gruppo di migranti che tenta di attraversare la frontiera a Tijuana. Foto LaPresse

Gli Stati Uniti e l'invasione fuffa

Eugenio Cau

Trump vuole costringere il Messico a tenersi i migranti (ricorda qualcosa?). Amlo in imbarazzo

Roma. L’invasione dei migranti centroamericani al confine sud degli Stati Uniti preconizzata da Donald Trump non è avvenuta. L’esercito è arrivato e presto tornerà a casa, ma i primi migranti partiti dall’Honduras con la famosa carovana sono al confine già da qualche giorno, nella città messicana di Tijuana, e stanno provocando ben più problemi al Messico che agli Stati Uniti. Domenica qualche centinaio di migranti si è staccato da una manifestazione pacifica e ha tentato di passare il confine. La polizia di frontiera americana ha risposto con i lacrimogeni, e benché ci fossero alcuni bambini tra i manifestanti non ci sono stati feriti. I migranti centroamericani arrivati a Tijuana sono già 5.000, sono accampati da giorni in condizioni precarie in un centro sportivo riadattato e in altri luoghi pubblici, e stanno aspettando il loro turno (potrebbero volerci settimane, forse mesi) per fare il colloquio con le autorità americane che dovrebbero concedere l’asilo politico. Nel frattempo, rimangono a Tijuana, con le tensioni che crescono, e nell’Amministrazione Trump è balenata un’idea: e se ci restassero?

   

Il Washington Post ha pubblicato un paio di giorni fa uno scoop in base al quale l’Amministrazione americana e il governo di Andrés Manuel López Obrador, neopresidente populista che si insedierà a Città del Messico questo sabato, avrebbero definito un accordo per tenere i migranti centroamericani in Messico mentre la burocrazia americana gestisce in tutta calma le loro richieste d’asilo. Un accordo di Dublino al contrario: i migranti fanno richiesta in un paese, ma stanno in un altro. In Messico, la notizia ha generato un putiferio mediatico-politico. 

   

Andrés Manuel López Obrador, per tutti Amlo, è stato eletto lo scorso luglio dai messicani con una piattaforma populista e soprattutto antitrumpiana. E’ stato la risposta uguale e contraria a un presidente statunitense che umiliava quotidianamente messicani e latinos, ma adesso, a pochi giorni dalla sua cerimonia di insediamento, Amlo potrebbe essere costretto a fare a Trump un favore umiliante: tenersi i migranti dell’Honduras e del Guatemala sul proprio territorio per consentire a Trump di twittare che l’invasione è stata fermata.

    

Trump ha twittato l’idea già sabato: “I migranti al confine sud non potranno entrare negli Stati Uniti finché le loro richieste (d’asilo, ndr) non saranno state approvate una a una da un tribunale (. . .). Resteranno tutti in Messico. Se per qualche ragione diventerà necessario, CHIUDEREMO il confine sud”. Lo ha ripetuto domenica e ancora lunedì, con tweet simili, mentre il confine veniva chiuso davvero, domenica per un breve periodo, in concomitanza con gli scontri e le manifestazioni. Il governo messicano che si sta per insediare è imbarazzato. Non ha smentito che ci siano stati dei negoziati, tenuti da parte americana dal segretario di stato Mike Pompeo e dal segretario per la Sicurezza nazionale Kirstjen Nielsen, e secondo gli analisti Washington ha fatto trapelare la notizia ai media per forzare la mano di Amlo. Il risultato, per ora, è che contro il presidente eletto si è levata una gran massa di proteste e di obiezioni. Le proteste riguardano il fatto che i migranti a Tijuana sono già in condizioni precarie, presto ne arriveranno altri e la città non è attrezzata per tenerli – specie con un sindaco conservatore e populista che protesta contro i campi con un cappellino rosso “Make Tijuana Great Again”. I messicani sono arrabbiati perché come primo atto della sua presidenza Amlo potrebbe piegarsi ai gringos. Le obiezioni sono più pratiche: Trump vorrebbe che il Messico diventasse un “paese terzo sicuro” per i migranti centroamericani, un po’ come la Turchia lo è per l’Europa con i migranti siriani. Il primo problema, evidente, è che il Messico non è tanto sicuro, e Tijuana è la quinta città al mondo per tasso di omicidi: più di 100 ogni 100 mila persone. Il Messico inoltre è poco attrezzato per tenere grandi masse di migranti in attesa d’asilo: già 98 membri della carovana sono stati espulsi dal paese perché creavano disordini.

    

La propaganda trumpiana sull’invasione, dopo aver giocato un ruolo nelle elezioni di midterm, serve a Trump per storcere il polso al Messico, mentre l’Amministrazione, che avrebbe bisogno di manodopera a causa della disoccupazione zero, cerca di trasformare il sogno americano in una fortezza.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.