Roman Abramovich (foto LaPresse)

Abramovich e non solo. Così Londra prova a fare a meno dei soldi degli oligarchi russi

Cristina Marconi

Il governo britannico non ha rinnovato il visto da investitore del patron del Chelsea. E il Parlamento chiede che la Gran Bretagna smetta di essere la lavanderia del “denaro sporco russo”

Londra. Potrebbe essere a Antibes o potrebbe essere nei Caraibi, fatto sta che Roman Abramovich per ora non è a Londra e, stando alla situazione attuale, potrebbe avere difficoltà a farci ritorno: all’oligarca, presenza famigliare sugli spalti degli stadi a guardare il suo Chelsea, non è stato ancora stato rinnovato il visto da investitore, quello che permette a chiunque porti più di due milioni di sterline nell’economia britannica di restare per quaranta mesi nel paese. Scaduto a inizio aprile, il visto non è stato negato, ma visto il clima post-Salisbury e la voce grossa contro Mosca fatta negli ultimi tre mesi il governo britannico starebbe prendendo tempo, almeno secondo le fonti vicine ad Abramovich, che però è da qualche tempo che cerca un’alternativa: prima ha fatto richiesta di trasferimento a Verbier, ma gli è andata male per ragioni che la stampa svizzera non sarebbe autorizzata a riferire, poi a Jersey, dove l’hanno accolto a braccia aperte – lì basta pagare almeno 145mila sterline di tasse all’anno – ma dove lui ha deciso di non andare. Le carte della società che controlla il Chelsea dicono che la sua residenza è in Russia, ma far fare le valigie al tredicesimo uomo più ricco del Regno Unito non sarà così semplice. 

 

Già da Mosca sono arrivate le prime reazioni piccate. Non conosciamo il dossier, dicono, ma per gli imprenditori russi l’atmosfera è “ingiusta e ostile” come è noto da tempo. Non esattamente, visto che Londra è diventata Londoniestan e i quartieri alti pullulano di miliardari russi da anni e nel 2007, quando ci fu l’avvelenamento della spia russa Alexander Litvinenko, tutti cercarono di non danneggiare troppo quell’inarrestabile flusso di denaro russo con risposte troppo aggressive. Che però col tempo sono arrivate anche per il caso Litvinenko e che oggi, dopo che a Salisbury un ex doppio agente russo e sua figlia sono stati colpiti con dell’agente nervino in pieno giorno in mezzo alla gente, appaiono inevitabili. La premier Theresa May sul dossier Russia ha deciso di essere quella leader “forte e stabile” che non le riesce di essere altrove e ha già espulso 23 diplomatici russi. Ora, sebbene con la Brexit e le incertezze economiche pianga il cuore a farlo, ha deciso di passare al capitolo più dannoso per Londra: quello della ricchezza, passando al setaccio i beni di 700 persone. 

 

Abramovich non è il pesce più grande, ma sicuramente è quello più in vista di Londoniestan. Secondo la recente classifica del Times, con i suoi 9,3 miliardi di sterline di patrimonio è il tredicesimo uomo più ricco del paeseAlisher Usmanov, per dire, è più ricco di lui – quasi 11 miliardi di sterline di patrimonio – e pure se ha il 30% dell’Arsenal non è famoso come l’uomo del Chelsea. Davanti a loro c’è solo Len Blavatnik, terzo più ricco del paese. Ma il cinquantunenne Roman è vicinissimo al Cremlino e con il presidente Vladimir Putin avrebbe un rapporto da padre-figlio, dopo essersi accaparrato una generosa porzione al disordinato banchetto delle liberalizzazioni post-sovietiche degli anni Novanta grazie alla protezione di Boris Berezovsky, l’altro arci-oligarca morto in circostanze mai chiarite – suicidio, si dice, ma il verdetto è aperto – nel 2013. Si era comprato Sibneft per 120 milioni di sterline e una decina di anni dopo, nel 2005, l’ha rivenduta a Gazprom per 7 miliardi e mezzo.

 

Il suo divorzio da Irina Malandina gli ha alleggerito le casse non di poco e ora è sposato con Dasha Zhukova, una bella trentacinquenne molto in vista nel mondo dell’arte e di un jet set di cui Londra sembra voler fare a meno. Dopo una serie di prevedibilissimi abusi, il sistema dei visti per investitori è stato soggetto ad una revisione quattro anni fa e da allora le richieste sono crollate dell’84%. L’ex ministro dell’Interno Amber Rudd aveva annunciato misure drastiche e oggi il Parlamento ha chiesto in un report che il governo faccia in modo che il paese la smetta una volta per tutte di essere la lavanderia del “denaro sporco russo”, tanto più che questo è parte della strategia di Mosca di indebolire le istituzioni e la tenuta democratica britannica. 

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