Un manifestazione di Fidesz il partito di Viktor Orbán (foto LaPresse)

Ecco perché l'opposizione a Orban è poco efficace (anche se lui sembra meno forte)

Andrea Affaticati

Domani 8 milioni di ungheresi alle urne per eleggere il nuovo parlamento. Il politologo Bulcsú: “La strategia elettorale del premier evidenzia che anche lui sa di essere meno saldo del passato”. Ma i suoi sfidanti sono troppo divisi

C’è anche il neonato partito Momentum, fondato da un gruppo di giovani, che si presenterà alle elezioni ungheresi, ma con poche chance di successo. Troppo anti establishment per una società da tempo guidata con piglio sempre più autoritario. Domani, 8 aprile, 8 milioni di ungheresi saranno chiamati a votare un nuovo parlamento. I sondaggi danno la vittoria del partito nazionalista Fidesz del premier Viktor Orbán per certa, anche se, diversamente da quattro anni fa, dovrà accontentarsi di una maggioranza semplice. “Sì, potrebbe andare così. Ma queste sono le elezioni dall’esito più incerto, che si siano mai tenute in Ungheria dalla fine del comunismo a oggi” dice al Foglio Hundyadi Bulcsú, politologo del think tank Political Capital Institute di Budapest. Il sistema elettorale ungherese è misto, 93 seggi vengono assegnati in base alle liste, 106, invece, per mandato diretto. “Fino a stasera i partiti di opposizione possono giocare di strategia, puntando tutti sullo stesso candidato”. Così hanno fatto a fine febbraio per le elezioni amministrative nella città di Hodmezövasarhely, fino ad allora roccaforte di Fidesz. E il loro candidato ha vinto con il 57,7 per cento dei voti.

 

Solo che a livello nazionale anche la sinistra ungherese è troppo divisa, ognuno prigioniero delle proprie ideologie e dei propri interessi economici. “E poco importa se questi partiti possono contare giusto su qualche punto percentuale di voti” prosegue Bulcsú. Eccezion fatta per il partito socialista e quello della destra estrema Jobbik, dati entrambi tra il 13 e il 19 per cento. In questo caso, però, non è solo il fronte democratico a non volersi coalizzare con Jobbik. Il veto è reciproco. Almeno per il momento, visto che ultimamente Jobbik fa uso di un linguaggio meno estremista e ha sciolto le ronde anti rom organizzate qualche anno. Insomma prova a mostrarsi più moderato.

 

Il fatto che Orban continui a battere e ribattere su George Soros, il miliardario americano di origine ungherese diventato il nemico pubblico numero uno, anziché sottolineare, per esempio, la ripresa economica, è per Bulcsú una segnale evidente che Orban sa di essere molto meno saldamente in sella di quanto possa apparire all’estero. “È vero la riprese c’è stata, soprattutto nell’ultimo anno. Ma c’è chi ancora oggi attende il benessere sognato con la caduta della cortina di ferro. Meglio allora cercare un nemico esterno, dare addosso alle ong”.

 

Proprio a proposito di Soros, della sua Open Society Foundation e delle accuse mosse da Orban secondo il quale il miliardario sarebbe l’eminenza grigia dietro all’ondata di profughi dell’estate del 2015, András Szigetvari, sul quotidiano austriaco der Standard, scriveva qualche giorno fa: “È vero che Soros si immischia. E fa bene. Molti altri attori esterni, per esempio il sindacato austriaco, dovrebbero fare altrettanto. Negli ultimi otto anni, l’Ungheria è drammaticamente cambiata. C’è bisogno di programmi di scambi culturali, di dibattiti, di formazione per le ong”.

 

A dire il vero, non passa settimana che in Ungheria non vi sia una manifestazione. Il problema è che ognuno porta avanti la propria battaglia. “Orban fino a ora è stato molto abile nell’impedire che questi gruppi si coalizzassero” fa notare Bulcsú. La Slovacchia però insegna che da queste parti il popolo prima o poi sa ribellarsi. Dopo l’assassinio del reporter Jan Kuciak e della sua fidanzata gli slovacchi sono scesi in massa in piazza, pretendendo e ottenendo le dimissioni del premier Robert Fico. “Questo dimostra che la stabilità dei governi nella Mitteleuropa è meno salda. C’è però una differenza sostanziale tra la Slovacchia e l’Ungheria. Orban in questi anni ha fatto piazza pulita dell’indipendenza delle istituzione. Tant’è che Péter Polt, il procuratore generale di Stato è un suo fedelissimo, che archivia con grande solerzia casi di corruzione nei quali sono coinvolti uomini vicini a Orban”, conclude Bulcsú. Dunque, forse non è ancora arrivato il momento, per la rivolta pacifica. Ma, chissà, i sondaggi potrebbero sbagliare.

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