Kim Jong-un assiste al concerto degli artisti sudcoreani

Metti una sera il leader nordcoreano al concerto delle Red Velvet

Giulia Pompili

Kim Jong-un va a sentire a sorpresa il gruppo più pop della Corea del sud

Roma. “Cerco di ignorarti ma sono così attratta da te / Sei diverso, io sono arrogante / ma mi fai ridere / sai che ultimamente sono sexy / Seguimi come se fossi sotto un incantesimo”. Le Red Velvet, cioè uno dei gruppi K-pop più famosi del mondo, tutto glitter e balletti coinvolgenti, hanno cantato anche la hit “Bad Boy” domenica sera, al East Pyongyang Grand Theater. E’ qui che si è svolto l’atteso concerto dal titolo “Spring Come”, con vari artisti sudcoreani che si sono esibiti nell’ambito degli cambi culturali inaugurati all’inizio dell’anno con l’apertura della Corea del nord al dialogo con il sud.

 

 

 

Le Red Velvet hanno cantato alcune delle loro canzoni – tutt’altro che serie e propagandistiche, come invece la maggior parte delle band nordcoreane che si esibiscono abitualmente su quello stesso palco – davanti alla platea di nordcoreani e condividendo il palco con cantanti del calibro di Cho Yong-pil, una specie di Al Bano nazional-popolare sudcoreano. Ma a rendere tutto ancora più inconsueto è stato l’arrivo a sorpresa, domenica sera, del leader nordcoreano Kim Jong-un e della moglie Ri Sol-ju, che sono apparsi intorno alle sei e mezzo del pomeriggio e hanno preso posto sul palco d’onore. 

 

La loro presenza era prevista per il secondo spettacolo, quello in programma martedì 3, dove si sono esibiti insieme sia artisti del Nord sia del Sud. Con la comparsata di domenica, Kim stabilisce un nuovo record: è il primo leader nordcoreano ad assistere a un concerto con performer esclusivamente sudcoreani. Alla fine dell’evento, il leader ha incontrato i cantanti, e ha detto di essere stato “particolarmente commosso” dall’entusiasmo manifestato dagli spettatori e che il successo del concerto è la dimostrazione che “i nordcoreani e i sudcoreani sono compatrioti”.

 

 

 

Insomma, sembrano ormai lontanissime le facce lunghe della platea del famoso concerto del 2015 dei Laibach, band heavy metal slovena, la prima straniera a esibirsi in Corea del nord (video sopra). Il fatto è che fino allo scorso anno, quando anche un insignificante incidente nel Pacifico avrebbe potuto portare con sé conseguenze inimmaginabili, il pop-rock sudcoreano era usato dall’esercito lungo il 38° parallelo per “disturbare” la Corea del nord. Gli enormi altoparlanti posizionati nella Zona demilitarizzata, infatti, dal lato Nord trasmettevano periodicamente discorsi di propaganda, mentre quelli del Sud, la maggior parte delle volte, suonavano canzonette K-pop.

 

 

Quindi è facile immaginare che qualcosa di grosso stia accadendo nella penisola coreana se sulla prima pagina di ieri del Rodong Sinmun, il quotidiano ufficiale di Pyongyang, è apparsa la fotografia del leader Kim Jong-un circondato dalle Red Velvet in minigonna e da tutta la delegazione sudcoreana (foto sopra). Benché sia sempre un esercizio pericoloso abbassare la guardia con un leader come Kim – che negli ultimi sei anni ha rinforzato i confini del regime, tenuto aperti tutti i campi di lavoro e di rieducazione –, è altrettanto strano prendere nota delle sue ultime mosse, segnali contraddittori che preparano il campo ai prossimi appuntamenti come quello del 27 aprile prossimo, in cui Kim incontrerà il presidente sudcoreano Moon Jae-in. E c’è dell’altro: i giornalisti sudcoreani che domenica erano a Pyongyang per seguire la prima tappa del concertone hanno ricevuto le scuse di Kim Yong-chol, uno degli uomini più potenti della Corea del nord e considerato la mente di due degli attacchi mortali del Nord contro il Sud nel 2010. Quando si è sparsa la voce dell’arrivo del leader e di sua moglie, infatti, ai giornalisti sudcoreani è stato impedito l’accesso al teatro dai minder, riporta il New York Times, cioè la scorta che la Corea del nord assegna a ogni individuo straniero che si trovi sul suo territorio. “Vi abbiamo invitato e siamo obbligati a garantirvi una giusta copertura mediatica dell’evento”, avrebbe detto Kim Yong-chol, funzionario di un regime dove la libertà di stampa proprio non esiste. “A nome delle autorità del Nord vi offro le nostre scuse e vi ringrazio per aver capito il nostro ordine sbagliato”, riferendosi al fatto che le guardie del corpo del leader, nel frattempo, avevano ordinato improvvisamente alle scorte dei giornalisti di allontanare i sudcoreani dagli ingressi del teatro. Per essere un regime che inizia ad aprirsi diplomaticamente al mondo, che è disposto a “trattare di denuclearizzazione” c’è ancora molto da imparare.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.