Tre Rafale in volo

Un accordo tra Belgio e Francia svela la fragilità della nuova Difesa comune dell'Ue

Lodovica Palazzoli

Bruxelles valuta l'acquisto dei Rafale francesi, a costo di rinunciare al maggior tasso tecnologico degli F35 o al progetto tutto europeo degli Eurofighter

Nonostante le grandi aspettative riposte nella Pesco, la nuova cooperazione permanente per la Difesa dell’Ue, i segnali provenienti da alcuni governi e dall’industria della Difesa non sembrano aver colto davvero la novità.

 

Mentre il Parlamento europeo porta avanti il Programma di sviluppo industriale della Difesa, stanziando 500 milioni di euro tra il 2019 e il 2020, è il bando pubblicato dal governo belga per sostituire 34 caccia F-16 a mostrare la vera natura dei rapporti tra industrie del settore, attente più al proprio tornaconto che alla crescita del comparto a livello europeo.

 

La sfida per sostituire i vecchi caccia dovrebbe essere una corsa a due, tra l’europeo Eurofighter (costruito da Italia, Gran Bretagna, Germania e Spagna) e l’americano F-35 della Lockheed Martin. Eppure la Francia, da sempre molto attenta alla propria industria aeronautica, sta cercando di imporre il suo velivolo, il Rafale costruito dalla Dassault, senza però rispettare le procedure del bando. Obiettivo che Parigi tenta di raggiungere aggirando l’ostacolo e proponendo un partenariato governativo a Bruxelles, accompagnato da una serie di accordi industriali.

 

“Il messaggio che passa è che chi compra francese acquista un prodotto di livello europeo, mentre per esempio chi compra italiano acquista un prodotto solo italiano. Manca ancora una visione continentale dell’industria e la colpa è degli egoismi nazionali”, spiega al Foglio Gregory Alegi, esperto aeronautico e docente di Storia delle Americhe alla Luiss.

 

Poco importa allora se, sulla carta, il caccia americano sia oggettivamente il più evoluto e quello più adatto alle esigenze belghe (che potrebbero collaborare in maniera più stretta con i vicini olandesi, già in possesso dello stesso velivolo), e che il multiruolo Eurofighter sia figlio di un piano europeo, nato con l’idea di unire risorse e know how del Vecchio Continente. Anche quella volta, a ridimensionare l’idea di un caccia europeo furono proprio i francesi, che abbandonarono il progetto comune dell’Eurofighter per portare avanti un programma in proprio. Da quella rottura nacque il Rafale, uno dei tanti esempi di frammentazione di sistemi d’arma che si traducono in uno spreco stimato dall’Unione tra i 25 e i 100 miliardi di euro l’anno. 

 

“Il Rafale nasce da un progetto post Guerra Fredda e per quanto i francesi ne stiano elaborando una versione più moderna, l’F4, questo non risponde più alle esigenze delle aeronautiche, perché tecnologicamente arretrato e dotato di sistemi aggiuntivi che nell’F-35 sono già integrati, come i pod da ricognizione e rifornimento”, spiega Alegi, autore per la Fondazione ICSA di due studi sul nuovo caccia della Lockheed.

 

E non è la prima volta che i francesi giocano da battitori liberi: è stato così anche nel 2010 per l’accordo siglato con la Gran Bretagna, che doveva portare alla costruzione di un velivolo da combattimento a pilotaggio remoto, accordo che escludeva espressamente altri partner dal progetto. Più di recente, invece, il presidente francese Emmanuel Macron e la Cancelliera tedesca Angela Merkel si sono accordati per avviare la produzione di un caccia di quinta generazione, quindi con lo stesso grado di tecnologia dell’F-35. “Peccato che arrivi con venti anni di ritardo”, sottolinea il professor Alegi, che aggiunge: “I programmi europei sono ancora soggetti a tensioni nazionali, non riescono ad avere una portata davvero europea. Questa idea di un caccia franco-tedesco ne è l’ennesima riprova: va bene sganciarsi dall’industria americana di Trump, ma non si possono fare progetti utilizzando i fondi messi a disposizione dall’Unione europea, collaborando poi di fatto solo in pochi stati membri”.

 

In questo scenario pare davvero difficile immaginare quella cooperazione tanto auspicata dall’Unione europea. Le azioni finanziate dal programma approvato dal Parlamento europeo dovrebbero essere svolte da almeno tre società di tre diversi stati membri. Ma finora, la Difesa comune sembra restare zavorrata dagli egoismi nazionali.