Lo strano caso dell'attivista australiano radicalizzato (in Corea del nord)

Giulia Pompili

Chan han-choi sarebbe uno degli intermediari di Pyongyang

Roma. La storia di Chan Han-choi, il cinquantanovenne arrestato domenica dalle autorità australiane per aver fatto da intermediario nei loschi traffici con la Corea del nord, ci dice molto di come Pyongyang sia stata in grado nel corso degli anni di creare un sistema sofisticato per eludere le sanzioni economiche internazionali. Non solo: quella di Chan è anche una strana storia di “radicalizzazione”, come l’ha definita qualcuno, di conversione improvvisa agli ideali della Juche – l’ideologia alla base della Repubblica popolare democratica di Corea. Dimostra soprattutto che l’idea di socialismo nordcoreano a un certo punto della storia si è trasformata in qualcosa di più vicino alla religione, all’obbedienza con fini politici – non a caso la dinastia dei Kim è divinizzata in tutte le narrazioni ufficiali. Una strategia che ha permesso alla Corea del nord di reclutare più di un sostenitore anche al di fuori dei confini nazionali.

 

Nato in Corea del sud e residente in Australia da più di trent’anni, Choe, che ha studiato e lavorato come ingegnere, avrebbe fatto da intermediario per la vendita di carbone nordcoreano, diretto soprattutto in Vietnam e in Indonesia, ma anche di componenti per i missili, “inclusi i software di guida di missili balistici”, ha detto durante la conferenza stampa Neil Gaughan della polizia federale australiana. Sempre secondo quanto riportato dagli australiani, Choe stava trattando per “la fornitura di armi di distruzione di massa” ad entità non meglio specificate. “Pensiamo che agisse per conto delle autorità nordcoreane”, ma soprattutto “lo faceva per motivi patriottici, alla fine della giornata avrebbe venduto qualunque cosa pur di far fare soldi al governo di Pyongyang”, ha detto Gaughan. Il suo arresto non ha a che fare con una minaccia diretta all’Australia, ha detto la polizia, ma con la legge sulla compravendita di armi di distruzione di massa e le sanzioni economiche. Choe aveva raccolto un bel gruzzolo per Pyongyang: secondo le indagini almeno mezzo milione di dollari sarebbe arrivato nel tempo in Corea del nord, ma c’erano in ballo accordi per altre decine di milioni di dollari. Il primo ministro australiano Malcolm Turnbull ha commentato la notizia dell’arresto di Choe dicendo che è una questione “molto, molto seria: la Corea del nord è un paese pericoloso, incosciente, che minaccia la pace della regione e si sostiene violando le sanzioni delle Nazioni Unite”.

 

Secondo il quotidiano Australian, Choe lavorava come addetto delle pulizie di un ospedale e viveva in un piccolo appartamento in affitto di Eastwood. Fino a sei anni fa frequentava la chiesa presbiteriana e la comunità dei coreani cristiani di Sydney. Si prodigava come volontario per i cosiddetti “fuoriusciti” nordcoreani, e nel 2000, alle Olimpiadi australiane, “ebbe un ruolo” nel far sfilare alla cerimonia d’apertura le squadre, quella nordcoreana e quella sudcoreana. Poi il cambiamento: secondo una delle testimonianze raccolte dal quotidiano australiano, Choe avrebbe iniziato a viaggiare spesso in Corea del nord. Un collegamento che non è passato inosservato, anche perché lui stesso non faceva nulla per nasconderlo: diceva di voler mandare i suoi soldi al regime, ed era in contatto con persone vicine al cerchio magico di Kim Jong-un.

 

Lo strano caso di Choe, se confermato in tribunale, ci dice molto della rete di intermediari che la Corea del nord è riuscita a costruire a livello internazionale per muovere i suoi traffici sul mercato nero – specialmente durante gli anni cruciali, gli ultimi sei, quelli in cui l’ingegneria nordcoreana ha fatto il grande salto ed è arrivata a ottenere i missili balistici intercontinentali e forse la miniaturizzazione delle testate nucleari. Ma spiega anche la forza della propaganda nordcoreana, legata alla retorica anti imperialista e alla rivoluzione socialista, un messaggio che in occidente sembrava sepolto almeno da trent’anni, qualcosa di cui ridere, e che invece continua a esercitare potere e fascino.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.