Massimo D'Alema (foto LaPresse)

D'Alema straparla su Israele

Redazione

Prima di accusare Gerusalemme di apartheid si faccia un giro in Cisgiordania

“L’idea di chiudere i palestinesi dentro delle enclave, una sorta di Bantustan, era stata dei boeri in Sudafrica, e poi si è visto come è andata a finire”. Così l’ex premier e ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, interviene contro Israele dopo la decisione americana di riconoscere Gerusalemme capitale dello stato ebraico. Il regime segregazionista sudafricano fondava la propria politica di separazione tra neri e bianchi su una differenziazione di carattere ontologico razzista. Nulla del genere esiste in Israele, una società multietnica e multireligiosa nella quale gli arabi israeliani godono degli stessi diritti sociali e civili degli ebrei israeliani, dei cristiani israeliani e di altre minoranze etnico-religiose presenti nel paese. Fanno parte dell’esercito, sono eletti alla Knesset, occupano posizioni istituzionali prestigiose (la Corte suprema israeliana è presieduta da un arabo) e possono accedere alle medesime occupazioni di tutti gli altri cittadini. Nulla di simile esisteva in Sudafrica. Ma poco importa per l’agenda dei denigratori alla D’Alema, che dipinge la West Bank come una sorta di Bantustan. Mentre in Israele esiste un venti per cento di arabi, lo stato palestinese agognato da D’Alema senza mai prendere in considerazione le preoccupazioni israeliane dovrebbe costruirsi sulla cacciata di ogni singolo ebreo (lo ha detto chiaramente Abu Mazen). Come è successo a Gaza dal 2005. All’ingresso di ogni area palestinese c’è una insegna: “Pericolo, vietato l’ingresso agli israeliani”. In quelle israeliane va da sé che non esiste nulla di tutto questo. Ma D’Alema, asserragliato nei suoi pregiudizi, questo non può saperlo.

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