Donald Trump (foto LaPresse)

Con la confessione di Flynn l'inchiesta va verso il cuore di Trump

Ancora Russiagate. L'ex generale si dichiara colpevole di falsa testimonianza, ma è la collaborazione con Mueller che fa tremare il presidente

New York. L’ufficio dello special counsel, Robert Mueller, ha formalizzato l’accusa di falsa testimonianza all’Fbi per l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn. Flynn ha mentito agli agenti federali a proposito di due conservazioni con l’ambasciatore russo, Sergei Kislyak. In una di queste, l’allora consigliere di Trump ha chiesto al diplomatico di evitare di rispondere alle sanzioni imposte poco prima, promettendo una distensione dei rapporti una volta che la nuova amministrazione si fosse insediata. L’inchiesta sulla collusione con la Russia penetra formalmente nel più stretto dei cerchi trumpiani, colpendo un uomo di fiducia scelto e poi repentinamente scaricato da Trump.

 

Nell’udienza preliminare, Flynn si è dichiarato colpevole e in una breve nota ha confermato che ha raggiunto un accordo con Mueller e sta collaborando con gli inquirenti, una “decisione che ho preso nell’interesse della mia famiglia e del nostro paese”. In aula Flynn ha anche detto che i contatti con i russi che sono al centro del caso erano stati ordinati da Trump, ma va notato qui che l’ex consigliere non è incriminato per aver parlato con emissari del Cremlino, soltanto per aver mentito all’Fbi. Per questo reato rischia un massimo di cinque anni di carcere e una multa da 250 mila dollari. I giuristi più prudenti fanno notare che nemmeno il fatto che Trump abbia ordinato a Flynn di incontrare dei funzionari russi è di per sé una prova della collusione criminale che Mueller sta cercando.

 

Se, ad esempio, gli avesse chiesto di prendere contatti per pianificare le relazioni future la cosa sarebbe stata politicamente imprudente, ma non un reato. Tutto dipende dal mandato ricevuto da Flynn e dal contenuto delle conversazioni. La decisione però di collaborare con Mueller mette tutti questi elementi sotto un’altra luce, lanciando segnali che vanno nella direzione opposta rispetto a quella dei giuristi prudenti e soprattutto mandando un messaggio assai minaccioso a Trump. Che Mueller, ex direttore dell’Fbi e procuratore fra i più esperti d’America, abbia accettato un accordo con l’uomo più in vista di tutta la galassia trumpiana che, in un modo o nell’altro, ha avuto contatti con la Russia, significa che ha la ragionevole speranza di ottenere da lui informazioni esplosive, materiale che porta direttamente ai piani più alti della Trump Tower.

 

Per ora si tratta di congetture, ma questo tipo di accordi è fatto appunto per scambiare informazioni preziose con forti sconti della pena, ed è lecito pensare che Flynn preferisca un’accusa di falsa testimonianza rispetto alle potenziali alternative. Non va dimenticato che nell’ultimo anno le sole inchieste giornalistiche hanno portato alla luce decine di affari opachi in cui l’ex generale è protagonista, non ultimo una trama per rapire e consegnare alla Turchia Fethullah Gülen, il predicatore inviso a Erdogan rifugiato negli Stati Uniti. E’ improbabile che proprio tutte le storie uscite su Flynn siano fake news. Del resto, si tratta di un generale licenziato da Barack Obama, il quale poi ha personalmente sconsigliato a Trump di assumerlo come consigliere per la Sicurezza nazionale. E’ invece probabile che Flynn abbia diverse cose da dire a Mueller, e questo spiegherebbe meglio perché fino a poco tempo fa il presidente si ostinava a dire che “avrebbe dovuto chiedere l’immunità in questa caccia alle streghe”. Il gelido comunicato con cui l’avvocato del presidente ha detto che le sue azioni finora non incriminano altri tradisce il sospetto che l’ex generale abbia cambiato casacca fin dall’intestazione, dove Flynn viene identificato come un ex funzionario dell’Amministrazione Obama che è stato nella Casa Bianca di Trump solo per venticinque giorni.

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