Foto LaPresse

Capire l'incredibile elezione di Donald Trump

Giovanni Maddalena

Toni giusti, analisi accurate e anche qualche difetto nell’ultimo libro di Mattia Ferraresi, Il secolo greve

Leggete e capirete. Leggete Il secolo greve di Mattia Ferraresi e capirete quasi tutto dell’incredibile elezione di Donald Trump a presidente della più grande e ricca democrazia della storia, della crisi profonda economica, sociale e umana del liberalismo, che emerge in tutta la sua forza negli Stati Uniti e che getta la sua lunga ombra sull’Europa e su tutto il mondo occidentale. Non starò a scrivere sul Foglio, dove lavora da anni, che Ferraresi è bravo, eppure forse occorre dirlo per essere sinceri fino in fondo con i pregi e i difetti del libro.

 

Il tono de Il secolo greve è quello del giornalista-saggista che ha negli Stati Uniti una lunga tradizione, che dovrebbe essere sancita dal conferimento del premio Pulitzer. Se ci fosse l’analogo italiano, i primi due capitoli del libro di Ferraresi lo meriterebbero. I dati sono sconcertanti per precisione e articolazione. Ne risultano alcuni significativi assestamenti della vulgata sull’America e sull’elezione di Donald Trump. Non è vero che il nuovo presidente degli Stati Uniti è stato eletto grazie ai voti della fascia di cittadini delusa dalla deindustrializzazione come non era ovviamente vero che fosse stato eletto da vecchi bianchi e conservatori. Donald Trump è stato eletto da certe aree del paese perché in esse emerge la disperazione provocata dal liberalismo dipinto come vincente da trent’anni. Ferraresi dimostra come le statistiche solite non rendano conto della realtà di persone che hanno perso il lavoro da così tanto tempo da non essere più registrate per i sussidi, nascondano che mentre gli omicidi diminuiscono aumenta la criminalità – una persona su otto fa parte del mondo sommerso dei criminali secondo quanto Ferraresi scopre – ignorino che la questione degli oppiacei è diventata così centrale per gli Stati Uniti da essere uno dei pochi temi di cui si sa per certo che hanno parlato Trump e Xi Jinping nel loro recente incontro. Insomma, leggete Ferraresi e capirete che la realtà dei fatti – detta da uno che non si può annoverare tra i fan dell’attuale presidente – è più vicina al “carnage”, la carneficina, evocata da Trump nel giorno del giuramento, che all’epoca di pace e prosperità descritta come già in atto da Pinker, uno dei tanti maîtres a penser statunitensi che Ferraresi cita con precisione. La disperazione non è né di destra né di sinistra, né bianca né nera, né maschile né femminile. La disperazione è un baratro antropologico prima che economico e sociale e Trump è la carta della disperazione giocata da tutti coloro che vedono una realtà insolubile e perennemente taciuta da coloro che dovrebbero essere i propri rappresentanti sociali e politici.

 

Qui sta la forza del libro, che vede nelle elezioni americane scorse l’inizio della resa dei conti per un liberalismo che ha promesso a tutti la ricerca di una felicità possibile in un mondo liberato dalle ideologie e che ora si trova costretto ad ammettere che il regno di Dio su questa terra non è così certo né così vicino. Nella teologia politica del calvinismo Ferraresi va a cercare il cuore di questa pretesa americana e la frustrazione disperata della sua ora attuale. Il combinato disposto del calvinismo con la dottrina liberale della pura autonomia di un soggetto signore di se stesso e libero solo in quanto capace di scegliere, e non di aderire al bene, è la formula che Il secolo greve individua come origine profonda della crisi antropologica attuale. In effetti, è impossibile capire l’America senza cogliere quanto sia ancora vitale il germe del calvinismo portato dai padri pellegrini della Mayflower e come in esso si siano incastonate le dottrine del primo illuminismo inglese.

 

Giocare la partita con speranza

Qualche dubbio viene invece dalla fine del libro. Ferraresi fa emergere in essa la sua proposta di un conservatorismo serio, equilibrato, cattolico in cui i difetti del liberalismo globalizzante e le sue pretese gnostiche di divinizzazione vengono denunciate e combattute senza però cedere al particolarismo, alla rabbia e all’anti liberalismo. Combattere il politicamente corretto con la classe di una correttezza superiore, superare la crisi con un’educazione profonda a lungo termine. Il professore universitario che è dentro di me non potrebbe essere più d’accordo e applaude sereno all’analisi perfetta e alla causa nobile anche se persa – cosa alla quale Ferraresi è anche troppo rassegnato.

 

Purtroppo o per fortuna, però, la politica e la storia non si fanno in questo modo. Alla fine, l’uomo politico e l’elettore devono decidere sul momento e “decidere” significa “tagliare” e, peggio ancora, “tagliare corto”. Il cittadino americano un anno fa si è trovato a decidere tra la Clinton e Trump. Volenti o nolenti, sbagliando o facendo giusto, gli elettori hanno dovuto prendere una decisione. Chi non l’ha fatto, votando per un terzo inutile candidato o non votando, ha semplicemente rinunciato a collaborare alla storia per mantenere le mani pulite. Per non rassegnarsi al lugubre, per non dichiarare un’altra volta la storia ineluttabile – cosa di cui Il secolo greve accusa giustamente i progressisti statunitensi – occorre provare a giocare la partita, in un modo o nell’altro, da una parte o dall’altra, con quella speranza che giustamente il Péguy citato da Ferraresi considerava una forza e una grazia tali da far stupire perfino Dio. I germi della Mayflower avevano dentro anche questa concezione della speranza e non è detto che alla fine non sia essa ad aver ragione, nel suo auspicare imprevedibili cambiamenti, nel suo riconoscere imprevisti avvenimenti.

Di più su questi argomenti: