Donald Trump al termine di una conferenza stampa (foto LaPresse)

Ma dov'è sparita l'America?

Paola Peduzzi

La retorica del ritiro e dell’interesse nazionale “first” ha generato un effetto perverso

Milano. Chi vince la guerra organizza le conferenze di pace e i piani di ricostruzione, difende i propri interessi di vincitore e mostra più o meno magnanimità nei confronti degli sconfitti. Per la Siria, la conferenza di pace è organizzata da Russia e Iran, quindi è chiaro chi sono i vincitori, pure se – ed è un “pure se” enorme – lo Stato islamico non è stato battuto dalla Russia né dall’Iran né tantomeno dal beneficiario assoluto di questa alleanza, l’highlander siriano Bashar el Assad. “Dopo la nostra vittoria sul terrorismo, siamo pronti a dialogare con quelli che vogliono veramente una soluzione politica”, ha detto il rais siriano dopo aver abbracciato il presidente russo, Vladimir Putin, a Sochi, ma quella “nostra vittoria sul terrorismo” non è del regime siriano né di quello russo né di quello iraniano: è degli Stati Uniti d’America. La lotta comune al terrorismo ha fatto da alibi all’alleanza Mosca-Teheran-Damasco per molti anni: mentre gli americani investivano uomini, risorse, capitale politico per “distruggere” lo Stato islamico – infine riuscendoci – gli altri lavoravano per distruggere i nemici interni di Assad e per allargare le proprie aree di influenza in Siria e nella regione. Questa è la vittoria che oggi rivendicano Putin e i suoi alleati, questa è la vittoria che permette loro di riunire altri leader per decidere insieme del futuro della Siria e di concedere all’America (e a Israele) soltanto una telefonata – lunga però, tutti lo sottolineano per mitigare l’effetto contentino – di ricognizione. Gli americani che hanno battuto lo Stato islamico, il nemico comune, restano spettatori, alla meglio informati dei fatti, ma probabilmente nemmeno quello.

 

La guerra in Siria, che è iniziata, è sempre utile ricordarlo, con una rivolta del popolo siriano contro il suo dittatore sull’onda delle primavere arabe, è stata scandita da molti paradossi e immense ipocrisie: la vittoria scippata all’America è il gran finale. Ha pesato, e parecchio, sulla comprensione di questo conflitto, l’alibi di cui sopra, la lotta comune contro il terrorismo, che ci ha fatto a lungo credere che ci fossero margini di collaborazione efficaci e duraturi tra gli Stati Uniti e la Russia, sia di intelligence, sia militari, sia strategici. Ancora adesso si sente parlare di piani decisi assieme, ma è sempre più evidente che non c’è nulla di condiviso se non qualche patto di non-attacco diretto che ha impedito – per fortuna – incidenti che avrebbero avuto conseguenze molto gravi. Ma gli interessi tra Russia e Stati Uniti sono divergenti, lo sono da sempre, lo sono nello specifico e lo sono a livello ideologico: l’Amministrazione Trump è straordinariamente anti iraniana, e l’Iran è il primo partner di Putin nella missione di “salvare la Siria dal collasso”. Ci sarebbe anche un altro capitolo da aprire che riguarda tutti coloro che si scagliano contro l’imperialismo americano e contro le guerre-fatte-per-il-petrolio degli americani e che neppure si sognano di denunciare l’imperialismo russo: ma è un capitolo ampio, se ne riparlerà.

 

Intanto l’America sparisce dalla gestione del futuro della Siria che, come si sa, è anche gestione di un’intera regione. Tale sparizione non è dovuta esclusivamente a Donald Trump: i leitmotiv della politica estera dell’ex presidente Barack Obama erano “ritiro” e “leading from behind”. Dopo l’interventismo dell’Amministrazione Bush, l’America ha iniziato un processo di disimpegno e di rafforzamento delle forze locali e regionali: ma l’irrilevanza no, non era tra gli obiettivi perseguiti. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi