Mohammed bin Salman (foto LaPresse)

Fino a che punto credere alla svolta moderata del principe saudita?

Daniele Raineri

"Voglio tornare a un islam tollerante", ha detto Mohammed bin Salman

Roma. Ieri, il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, ha annunciato un ritorno del regno “all’islam moderato e tollerante, aperto al mondo e a tutte le religioni. Ritorneremo a come eravamo prima, non passeremo i prossimi trent’anni a combattere contro idee distruttive”. E’ una notizia che suona epocale per un paese che oggi di fatto è il motore immobile dell’espansione nel mondo dell’interpretazione più oppressiva e pericolosa dell’islam. Ma è vera? Fino a che punto dobbiamo credere a Bin Salman? Cerchiamo di capire cosa sta succedendo con Cinzia Bianco, analista di Gulf State Analytics (è un’azienda specializzata in consulenze sui paesi del Golfo per investitori, politici e businessman con base a Washington e Londra). “E’ una questione che parte dal 1979, dalla rivoluzione che portò al potere gli ayatollah in Iran e stabilì nel mondo sciita il principio del primato dei religiosi sui politici. La cosa provocò alcuni problemi anche in Arabia Saudita, dove il potere tra religiosi e regnanti è sempre stato in equilibrio dinamico. Per evitare che il modello sciita iraniano del velayat e faqih, quindi del potere religioso sopra quello politico, sembrasse troppo appetibile anche ai sunniti in Arabia Saudita (con le debite differenze tra sciiti e sunniti) i regnanti cominciarono a fare concessioni ai religiosi. Ci fu una stretta ulteriore. Per esempio prima del 1979 – che è anche l’anno del grande assalto alla Mecca da parte di un gruppo estremista che era l’antesignano dello Stato islamico di oggi, finito nel sangue – nel regno saudita la segregazione dei sessi non era così forte in tutti i luoghi, e anche il divieto sulla musica non era così rigido, c’è ancora chi ha nostalgia di quando poteva ascoltare la famosissima cantante egiziana Umm Khultum”. Ecco – dice Bianco al Foglio – il principe ereditario Bin Salman ha deciso di rompere a suo vantaggio questo equilibrio dinamico. E’ questo che intende quando dice che è necessario far tornare il paese a prima del 1979. Primato della politica sui predicatori. Non c’è una ragione sola per cui ha deciso di compiere questa mossa. Una, molto importante, è che in questo sistema a due, figure politiche e figure religiose, se diminuisce il potere dei religiosi si rafforza la sua posizione. Un’altra è che è giovane e irruente e quindi sente di avere la forza per affrontare il backlash, la possibile reazione del mondo religioso e dei fedeli. Se poi l’abbia davvero è un problema aperto. Uno dei suoi predecessori, il re Abdallah morto nel 2015, ebbe una quantità di problemi quando volle procedere a qualche riforma e per esempio decise di allargare l’accesso a tutti i livelli di istruzione anche alle donne. Inoltre c’è un elemento che va considerato, c’è una differenza rispetto al passato, la religione musulmana è stata sempre un fattore legittimizzante per il potere dei Saud, non va dimenticato che il re è il custode dei due luoghi più sacri dell’islam, ma la religione può diventare anche un problema: al Qaida e lo Stato islamico sono due pericoli mortali per la monarchia saudita e molti predicatori continuano a strizzare l’occhio ai due gruppi terroristici.

 

 

E’ possibile che ci sia anche una ragione economica per questa svolta moderata, che si deve ancora concretizzare? “E’ possibile. Molti investitori conoscono alla perfezione il paese da molto tempo, altri invece potrebbero investire ma sono tenuti lontani dalla reputazione del regno”.

 

Quante chance ci sono che ci sia una svolta moderatrice reale? Il principe è aiutato da due fattori – dice Bianco – uno è la giovane età dei sauditi e l’altro è che l’opinione pubblica nazionale è facilmente manipolabile. Il settanta per cento dei sauditi ha meno di trent’anni, Mohamed bin Salman ne ha trentadue, conta sul fatto che quest’esercito di giovani sostenga convintamente il processo di riforme. Inoltre l’Arabia Saudita ha un sistema di media nazionali martellante, quando decidono di inculcare una nuova visione sanno come agire all’unisono e applicare pressione persuasiva. Per esempio in questi mesi è vietato parlare male degli sciiti, si pone più l’accento sul fattore arabo che su quello religioso sunnita, si vedano per esempio gli incontri con il premier iracheno sciita Haider al Abadi e con il religioso iracheno sciita Moqtada al Sadr, molto potente. “Infine, si tratta di una riforma top-down, dall’alto verso il basso, fatta d’autorità: prima di procedere alla grande riforma delle donne al volante per esempio il principe ha fatto arrestare i predicatori islamisti che prevedeva più ostili, in modo che non ci fossero problemi. Questo è il suo modo di procedere”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)