Cosa resta di Raqqa, dopo mesi di combattimenti (foto LaPresse)

Raqqa è caduta, ma ora viene il difficile: stabilizzare la Siria

Gianni Castellaneta

Serve una conferenza internazionale per impedire che il terrorismo si frammenti in tante schegge impazzite che hanno come loro unico comune denominatore l’odio verso i valori laici della società occidentale

Ed ora, anche l’ultima roccaforte dell’Isis è caduta. Con la riconquista di Raqqa viene a mancare quasi completamente l’esistenza dello “Stato” islamico come entità territoriale, mai riconosciuta ufficialmente ma esistente a livello politico da quando il califfo al Baghdadi ne aveva proclamato la fondazione nel 2014. Se da un lato possiamo sicuramente rallegrarci per questa notizia – la presenza di una realtà para-statale governata dal fondamentalismo islamico era un elemento di grande destabilizzazione in medio oriente – dall’altro non possiamo fare finta che tutto tornerà come prima, dopo anni di conflitti, violenze e distruzioni operate non solo dai terroristi con la bandiera nera, ma anche dagli altri attori in gioco, in primis il regime di Damasco.

 

Innanzitutto possiamo dire che la geografia politica e sociale del medio oriente non è più la stessa, o quantomeno che ci vorranno molti anni perché si ricostituisca un ordine stabile come quello precedente alla guerra civile scoppiata in Siria dal 2011. Si tratta ormai, nei fatti, di uno Stato fallito, in quanto Assad non ha ancora recuperato il controllo di tutte le regioni che erano finite in mano all’Isis né alle varie formazioni ribelli. Sulla dinamica interna siriana si innestano poi altre due questioni delicate: la ridefinizione dei confini con l’Iraq e la soluzione della questione curda. Quest’ultima, come ben sappiamo, coinvolge anche la Turchia, che ha giocato in questi anni un ruolo particolarmente ambiguo nella gestione della crisi, appoggiando lo Stato islamico inizialmente, ma finendo poi essa stessa nel mirino degli attentatori.

 

Il secondo ordine di questioni riguarda anche le altre regioni non direttamente interessate dalla vicenda. Sarebbe molto semplicistico, oltre che imprudente, ritenere che il fondamentalismo e il terrorismo di matrice islamica siano stati debellati con la presa della capitale dell’Isis. Paradossalmente, la sconfitta del Califfato potrebbe invece rappresentare una nuova spinta per i “lupi solitari” sparsi un po’ in tutta Europa per tornare a seminare il panico nelle nostre città, oppure per i foreign fighter rimasti in medio oriente per intraprendere nuovi atti di terrorismo.

 

Insomma, dall’ultima roccaforte di Raqqa c’è il rischio che il fenomeno del terrorismo si frammenti, si atomizzi in tante schegge impazzite che hanno come loro unico comune denominatore l’odio verso i valori laici della società occidentale. Come possiamo prevenire questo pericolo? La mia personale proposta è la convocazione di una conferenza di pace internazionale sulla Siria, a cui prendano parte tutti gli stati mediorientali e che sia finalizzata alla stabilizzazione politica a Damasco (che non può prescindere dal rispetto dei diritti umani), alla normalizzazione dei confini iracheni e alla ricerca di una soluzione condivisa che riconosca autonomia ai curdi, nel quadro di una gestione condivisa delle risorse petrolifere presenti nella regione. Le grandi potenze straniere che hanno interessi nella regione – Stati Uniti, Russia, Unione europea – dovrebbero ovviamente partecipare con il ruolo di garanti. Per l’Italia, farsi promotore di una simile iniziativa, che ci sarebbe utile per riguadagnare stabilità nel Mediterraneo, sarebbe un risultato diplomatico di primo piano. In tempi di campagna elettorale forse questo non è realizzabile, ma ci va di proporlo come “consiglio non richiesto” per la prossima legislatura.

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