Macron in visita alla base aerea di Istres

Macron e la Libia

Francesco Maselli

A Parigi l’incontro-simbolo tra Haftar e Serraj. Gli obiettivi dell’Eliseo e la querelle (stanca) con l’Italia

Roma. Martedì Emmanuel Macron accoglie a Parigi i leader delle due fazioni principali della guerra civile libica: il generale Haftar e il presidente del Consiglio libico Fayez al Serraj. L’incontro è stato organizzato la settimana scorsa per “facilitare un accordo politico tra il presidente del Consiglio libico e il comandante dell’esercito nazionale libico nel momento in cui Ghassan Salamé, rappresentante generale dell’Onu in Libia, che parteciperà alla discussione, assume le sue funzioni di mediatore”, si legge in una nota dell’Eliseo.

 

Da tempo – da sempre, in particolare dopo la missione della Nato che ha deposto Muammar Gheddafi nel 2011 – si specula sulla competizione tra Francia e Italia in Libia, collaborazione di facciata e grandi sgarbi alle spalle. Ci sono stati episodi che hanno fatto pensare che in effetti ci fosse una corsa al dispetto diplomatico più efficace, ma questo incontro non è un’iniziativa estemporanea: è stato richiesto dall’inviato dell’Onu, il libanese Salamé, che ha legami molto stretti con l’amministrazione francese (insegna a Sciences Po), la quale ha colto l’occasione per ritagliarsi il ruolo di ospite e di mediatore e per affrontare due temi che al presidente, Emmanuel Macron, stanno molto a cuore (come a tutti): lotta al terrorismo e immigrazione. Nelle ultime settimane il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, ha organizzato numerosi viaggi nella regione, in Qatar, Arabia Saudita ed Emirati arabi, potenze regionali coinvolte nella crisi libica.

 

“Tra Italia e Francia non c’è competizione” spiega al Foglio Marc Semo, giornalista del Monde esperto di questioni diplomatiche. “L’iniziativa del presidente Emmanuel Macron non va letta in funzione anti italiana, ci sono stati contatti tra le due diplomazie, siamo in Europa, queste cose non si fanno all’oscuro dei partner. Il presidente intende piuttosto sfruttare la sua immagine internazionale: in questo momento Macron è molto popolare, conviene a tutti farsi vedere accanto al leader del momento; se questo vale per Donald Trump figuriamoci se non vale per i libici”. Tutta comunicazione, quindi? “Non solo”, risponde il giornalista, “la Francia è consapevole che la crisi libica è pericolosa per tutta l’Europa”.

 

“Nessuno vuole uno stato affacciato sul Mediterraneo che alimenta l’emergenza migranti e destabilizza i paesi confinanti. L’Algeria e la Tunisia hanno legami strettissimi con la Francia, è evidente che in questo momento la Libia sia una priorità per Macron”, dice il giornalista del Monde. Per anni in Francia c’è stata una competizione, questa sì e anche imbarazzante, tra il ministero degli Esteri e il ministero della Difesa. Il primo sosteneva il governo di Tripoli e di Serraj, il secondo Haftar, sia con armi sia con uomini. Il regista dell’operazione era appunto Le Drian, l’attuale ministro degli Esteri ex titolare della Difesa. Per Semo, Macron è molto influenzato da Le Drian sul comportamento da tenere rispetto alle due fazioni libiche, ma da Parigi assicurano che non c’è la volontà di rubare terreno diplomatico all’Italia, semmai quella di attirare i riflettori.

 

“Il lavoro dell’Italia in Libia è riconosciuto da tutti – dice Semo – ma la diplomazia non si fa solamente dietro le quinte. I simboli contano, Macron l’ha capito e ha colmato un vuoto. Ha la statura per farlo e la utilizza a suo vantaggio, come ha fatto con Vladimir Putin a Versailles o con Donald Trump alla parata del 14 luglio”.

  
Macron vuole accreditarsi come mediatore globale, ma che cosa vuole ottenere dall’incontro delle due fazioni libiche a Parigi? Claudia Gazzini, analista dell’International Crisis Group, dice al Foglio che è difficile che scaturiscano accordi decisivi: “Un incontro tra Serraj e Haftar è di per sé un successo, vista la grande distanza tra i due. È però difficile immaginare che si arrivi a un accordo dopo due ore di discussioni, soprattutto a causa delle rivendicazioni di Haftar. Al momento non esiste una posizione comune né su chi sarà il legittimo capo dell’esercito né su quale sarà la struttura politica del paese. In più i due leader sono a loro volta appoggiati da una moltitudine di soggetti, che vanno consultati e convinti: presterei attenzione ai rispettivi entourage. La situazione libica è molto complessa, non basta un accordo tra Serraj e Haftar”.

 

L’obiettivo è confermato anche da Semo: “Una foto e un comunicato congiunto, anche se breve, sono quello che i francesi si aspettano. Sarebbe un colpo di comunicazione importante, che consentirebbe di mostrare agli alleati che la Francia si pone come mediatrice e che gli europei intendono risolvere la crisi. O almeno provarci”. Insomma, Macron si vuole pontiere, anche se le ragioni delle due sponde sembrano, al momento, inconciliabili.

  
Il governo italiano è riconosciuto a livello internazionale come un interlocutore prioritario per la soluzione della crisi libica. Ci sono le relazioni storiche ma anche un lavoro diplomatico di dialogo e di accordi, come quello siglato dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, con i leader delle tribù del sud della Libia per controllare i flussi migratori. Ma è forse proprio in quell’area del paese che, secondo Gazzini, la competizione con i francesi non è da escludere: “Negli ultimi anni ci sono state varie incomprensioni tra la diplomazia italiana e quella francese – spiega – L’intervento francese nel Sahel (operazione Barkhane) non è stato accolto con entusiasmo dagli italiani. Come il sostegno mascherato a Haftar, poi rivelato dall’abbattimento di un elicottero francese a Bengasi un anno fa, quando sono morti tre soldati dei reparti speciali transalpini. Il sud della Libia è una zona che i francesi considerano di loro competenza, per una serie di ragioni storiche. È probabile che quest’iniziativa abbia come obiettivo, tra gli altri, anche reagire all’attivismo italiano degli ultimi mesi”.