Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (foto LaPresse)

Repressione e censura? Il mantra di Erdogan è negare, negare sempre

Luca Gambardella

"Non abbiamo bisogno dell'Ue", "nessun giornalista è in carcere", "nessun attacco alle ong". I soliti toni disinvolti del presidente turco in un'intervista alla Bbc

Roma. "L'Unione europea ci fa solo perdere tempo", "la Turchia è in grado di reggersi sulle sue gambe" e se Bruxelles dovesse bloccare il processo di adesione di Ankara ne saremo "confortati". Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan continua a non disdegnare toni disinvolti e parole pungenti nei confronti dell'Europa e dell'occidente. Lo fa anche nell'intervista concessa alla Bbc, di cui sono stati anticipati alcuni estratti, la prima dal tentato golpe del 15 luglio 2016 e dall'inizio dello stato di emergenza nel paese.

  

L'imperativo categorico di Erdogan è negare: negare che l'Ue sia indispensabile per l'economia turca, soprattutto economicamente. Negare che sia in atto un sistema autoritario che reprime ogni forma di opposizione. Negare che siano stati incarcerati 150 giornalisti nell'ultimo anno. Negare che sia in atto un'offensiva analoga anche nei confronti delle ong. I numeri dicono che in 12 mesi almeno 260 persone sono state uccise, oltre 50 mila persone sono state arrestate, 140 mila quelle rimosse dai propri incarichi, 160 le emittenti televisive e i giornali chiusi, 2.500 i giornalisti che hanno perso il lavoro (CPJ, la Commissione per la protezione dei giornalisti, dice che la Turchia è il paese che chiude in carcere il più alto numero di giornalisti al mondo).

 

  

Numeri che Erdogan contesta: "Qui nessuno è finito in carcere perché è un giornalista, dobbiamo ammetterlo". "Sono bugie. Vede? Lei è qui ora a parlare più di me, lei ha più libertà di me", dice il presidente rivolgendosi all'intervistatrice della Bbc, Zeinab Badawi. Quelli che sono in carcere, continua Erdogan, semplicemente non possono ritenersi giornalisti, ma membri dell'opposizione. Oppure terroristi. "Anche di recente, durante la marcia (si riferisce alla marcia per la Giustizia cui hanno partecipato migliaia di oppositori a Erdogan, ndr), hanno scritto articoli insultati nei miei confronti. Quelli che sono in carcere, loro non hanno alcun titolo per definirsi giornalisti. Alcuni hanno collaborato con organizzazioni terroristiche, altri erano in possesso di armi, altri erano dei ladri". In sostanza, aggiunge Erdogan, coloro che hanno partecipato al tentato colpo di stato un anno fa si sarebbero poi fatti registrare con accrediti stampa, per salvarsi dalle epurazioni. "Questo non è accettabile", dice.

 

 

Il capitolo dell'adesione della Turchia all'Ue, che in questi mesi ha più volte condannato la repressione di Erdogan e la reintroduzione della pena di morte, è liquidato dal presidente turco come "un sollievo". "Se l'Ue non accetterà la Turchia per noi sarà un sollievo. Inizieremo il nostro piano B, o quello C", spiega Erdogan che negli ultimi mesi ha completamente ristabilito le relazioni diplomatiche e la cooperazione con la Russia. Secondo lui "la maggioranza dei turchi non vuole più entrare nell'Ue" (per la verità non esistono sondaggi recenti in Turchia. Di certo, uno compiuto dal Partito popolare europeo dice che è il 77 per cento degli europei a non volere più che Ankara entri nell'Ue). E poi "non ci invitano più ai summit dei leader europei", dice Erdogan riferendosi all'ultima polemica, quella del G20 di Amburgo. Dopo le accuse lanciate alla Germania, rea di mettere in atto "pratiche naziste", Erdogan aveva chiesto alla cancelliera tedesca Angela Merkel di tenere un comizio ad Amburgo, a margine del G20. Una provocazione, secondo Berlino, che ha rifiutato. Ma al di là delle parole sprezzanti e degli attriti, Erdogan lascia la porta semiaperta: "Vedremo cosa succederà", dice, "noi resteremo sinceri nei confronti dell'Ue".

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.