Kemal Kılıçdaroğlu al termine della Marcia per la Giustizia a Istanbul (foto LaPresse)

Gli anticorpi non-violenti al golpe di Erdogan

Mariano Giustino

La Marcia per la Giustizia arriva a Istanbul. Finora in Turchia nessuno aveva osato sfidare il presidente con una piazza così vasta. E Kılıçdaroğlu lo ha fatto nel modo più civile, democratico e non-violento possibile

Lungo la strada statale D-100, il tratto che collega Ankara a Istanbul, si è svolto uno degli eventi politici più importanti della storia repubblicana della Turchia, la Marcia per la Giustizia, lo stato di diritto e la democrazia. Una marcia lunga 432 chilometri, partita dal parco Güven di Ankara e giunta domenica 9 luglio, dopo 25 giorni, sul lungomare di Maltepe, un distretto di İstanbul, dove si è tenuto il comizio conclusivo di Kemal Kılıçdaroğlu, presidente del Partito repubblicano del popolo (Chp), il maggior partito d’opposizione, il più antico in Turchia, fondato da Mustafa Kemal Atatürk, eroe della guerra d'indipendenza dell’Anatolia contro le potenze straniere nei primi anni del Novecento e fondatore della Repubblica.

  

Kılıçdaroğlu aveva iniziato a camminare il 15 giugno, il giorno dopo che il vicepresidente del suo partito, Enis Berberoğlu, è stato condannato a 25 anni di carcere con l’accusa di "terrorismo" e "spionaggio" per aver fornito materiale video al giornale d’opposizione Cumhuriyet su un presunto traffico di armi dei servizi segreti turchi destinato ai jihadisti in Siria. Il leader del Chp ha compiuto un’impresa unica nella storia della non-violenza, battendo il record della Marcia del sale di Gandhi del 1930. Lo ha fatto sfidando le terribili condizioni atmosferiche, prima con la pioggia, il freddo e il vento, poi con il caldo torrido di Sakarya, con temperature di 45 gradi.

  

Kemal Kılıçdaroğlu al termine della Marcia per la Giustizia a Istanbul (foto LaPresse)


 

Partita da Ankara con poco più di mille partecipanti, la marcia è cresciuta passo dopo passo fino a trasformarsi in un’imponente manifestazione di massa. Solo pochi e isolati gruppi di esponenti filogovernativi hanno contestato i manifestanti con insulti e lancio di oggetti e lasciato proiettili lungo la strada, in segno di minaccia. E con il gesto della “Rabia”, le quattro dita alzate al cielo, segno caratteristico dei Fratelli musulmani, che fa riferimento al massacro del 14 agosto 2013 avvenuto nella moschea di Rabaa, al Cairo. E adesso adottato come simbolo caratteristico dell’Akp, il partito di governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan.

Erdoğan ha cercato sin dall’inizio di bloccare la marcia, criminalizzando Kılıçdaroğlu e gli stessi marciatori, accusandoli di essere al servizio delle organizzazioni terroristiche e delle potenze straniere con l’intento di rovesciare il suo governo. Il presidente turco aveva detto: “Ricordatevi che state marciando grazie alla benevolenza del governo”. “La tua – aveva risposto il leader del Chp - è un’espressione che usavano i faraoni, e la storia ci insegna che c'è un Mosè per ogni faraone. C'è sempre prima o poi qualcuno che si ribella alla tirannide e guida il popolo verso la libertà”.

  

La Marcia è stata caratterizzata da un unico slogan: Hak, Hukuk, Adalet, e cioè: Il diritto, la legge, la giustizia. Kılıçdaroğlu è stato molto chiaro sul significato della marcia: “Abbiamo marciato per i giornalisti, per i deputati in carcere, per i professori universitari licenziati”: ha detto ieri dal palco di Maltepe, a oltre un milione di persone accorse da ogni angolo del paese. “Abbiamo marciato per denunciare che il potere giudiziario è sotto il monopolio dell'esecutivo; abbiamo marciato perché ci opponiamo al regime di un solo uomo. Abbiamo marciato per rompere il muro della paura”. “Questo è solo un primo passo”, insiste il leader del Chp. “Vogliamo vivere in un paese democratico, come un paese europeo”. Analizziamo attentamente il linguaggio di Kılıçdaroğlu: nella storia politica di questo paese è davvero inedito.

  

 

Parla di verità, la verità che non si è mai affermata in Turchia, la verità sul fallito golpe, sulle stragi, sulle sparizioni, sulle torture che dopo tanti anni sono tornate a essere praticate nelle carceri turche come negli anni Ottanta e Novanta. Una pratica poi abbandonata grazie all’avvio del negoziato di adesione all’Unione europea nel 2004 e ripresa solo da qualche anno, in particolare dopo il tentato golpe del 15 luglio.

 

Kılıçdaroğlu parla di affermazione dell’“Hukuk Devleti”, cioè dello Stato di diritto, parla di diritti e di diritto per tutti. Il “Tutto”, “Tutti”, il “diritto di tutti”, sono termini che ricorrono spesso nel suo linguaggio che, oltre a essere un gandhiano, ha anche un connotato capitiniano e dunque più moderno. “Tutti” e “il Tutto” erano termini che caratterizzavano il pensiero di Aldo Capitini, col suo continuo richiamo alla necessità del dialogo. Kılıçdaroğlu parla spesso di “Sivil itaatsizlik”, cioè di disobbedienza civile che a partire da questa marcia ha intrapreso e che dovrà condurlo, assieme al suo popolo alla ricerca della giustizia, un po’ come la ricerca della verità nel pensiero gandhiano.

Molti osservatori sostengono che Kılıçdaroğlu ha iniziato questa marcia da presidente del suo partito e l’ha conclusa da leader di tutta l’opposizione. In 25 giorni è diventando la speranza del popolo, la rivolta onorevole e pacifica contro l'ingiustizia in Turchia. Ripete come un mantra che il motivo per cui ha organizzato questa marcia è rappresentato dalla lotta allo stato di emergenza, alla cui introduzione si era opposto sin dal primo momento, appellandosi alla centralità del Parlamento. Nell’estate dello scorso anno, dice Kılıçdaroğlu nell’intervista rilasciata a Radio Radicale, vi sono stati due colpi di stato, quello militare del 15 luglio, fallito, e cinque giorni dopo, il 20 luglio, quello “civile”, “il golpe riuscito”. Quel giorno fu introdotto lo stato d’emergenza, ufficialmente per la ricercare i responsabili golpisti, ma in realtà utilizzato per intimidire le voci critiche. E da allora i casi di ingiustizia si sono moltiplicati.

 

Kılıçdaroğlu guida il Chp da sette anni e durante questo periodo ha usato molta prudenza e caparbietà nella lotta contro l’altra metà del suo partito fortemente kemalista, per traghettare la storica formazione politica verso sponde più liberali e socialdemocratiche. La sua mitezza è stata scambiata da molti critici per debolezza ed è stato accusato di essersi piegato o adattato al regime di Erdoğan. Ma finora in Turchia nessuno aveva osato sfidare il presidente con una manifestazione di piazza di tale vastità. E Kılıçdaroğlu lo ha fatto nel modo più civile, democratico e nonviolento possibile.

  

 

Il leader repubblicano era accusato all’interno del suo stesso partito di non aver fatto questo passo il 16 aprile, il giorno del voto referendario che ha introdotto la riforma costituzionale in senso presidenziale voluta da Erdoğan. Il suo popolo si aspettava una reazione con manifestazioni di piazza per denunciare i brogli avvenuti durante lo spoglio delle schede. Quella notte il leader del Chp aveva invitato la folla di giovani accorsa presso la sede del partito repubblicano ad Ankara a tornare a casa dicendo che non era quello il momento della protesta di piazza: c’erano i sostenitori di Erdoğan che stavano festeggiando la vittoria referendaria e che dunque si sarebbe rischiato uno scontro violento. Kılıçdaroğlu è stato criticato anche per avere, nella primavera del 2016, sostenuto in Parlamento l’abolizione dell’immunità parlamentare che ha aperto la porta del carcere ai parlamentari dell’Hdp, mentre adesso ne chiede la liberazione in uno dei dieci punti del manifesto illustrato a conclusione della marcia, una sorta di “cahier de doléances” della sua battaglia per la giustizia.

Ma “Gandhi Kemal”, come amano definirlo i suoi sostenitori, ha ancora tanta strada da fare per liberarsi degli apparati più conservatori legati alla tradizione nazionalista-kemalista e anticurda. Ciò gli è riuscito in parte, senza dividere il partito. Adesso è impegnato in una operazione molto ambiziosa in vista delle elezioni politiche del primo novembre del 2019, quella di unire in un “Fronte democratico”, come lo ha recentemente definito, tutta l’opposizione a Erdoğan.

 

L’impresa è titanica perché vi è un fattore che la rende piuttosto difficile: quello curdo. In sostanza la difficoltà maggiore sta in un elemento di incompatibilità e cioè nel fatto che i nazionalisti anti Erdoğan, quelli per esempio di Meral Akşener fuoriusciti dal Mhp sono sì anti Erdoğan ed hanno votato “No” al referendum sulla riforma costituzionale, ma sono storicamente contro i diritti dei curdi e anche all’interno del Chp vi sono frange ancora diffidenti nei confronti della popolazione curda del sudest del paese. La sfida per Kılıçdaroğlu sarà quella di spiazzare tutti i suoi denigratori e mettersi alla testa di un grande partito moderno e alternativo a quello di Erdoğan.