Il dittatore nordcoreano Kim Jong-un (foto LaPresse)

Perché ogni provocazione nordcoreana ora fa un po' più paura

Giulia Pompili

Non solo i test missilistici. Sono sempre più forti i sospetti che dietro l’enorme attacco hacker Wannacry ci sia la Corea del nord

Roma. Ieri mattina un oggetto non identificato è volato dalla parte nordcoreana della zona demilitarizzata sul trentottesimo parallelo, nell’area di Cheorwon, e ha superato la cosiddetta linea di demarcazione militare – quella istituita nel 1953, dopo l’armistizio, per dividere le due Coree. L’artiglieria della Corea del sud, secondo un comunicato ufficiale delle autorità sudcoreane, ha prima lanciato un avvertimento attraverso un altoparlante e poi ha scaricato nella direzione della Corea del nord e sull’oggetto volante – presumibilmente un drone – 90 colpi di mitragliatrice. Nel gennaio del 2016 era accaduta una cosa simile: un piccolo aereo non identificato aveva oltrepassato il confine ed era tornato indietro dopo i colpi dell’artiglieria sudcoreana. Negli ultimi cinque anni sono stati ritrovati rottami di almeno un paio di droni rudimentali nella parte sudcoreana della Zona demilitarizzata. Gli aeroplanini senza pilota servono alla Corea del nord a fare ricognizione d’intelligence, a capire come sono disposte le truppe sudcoreane e americane lungo la linea di confine, ma anche a provocare. Così come funzionano ancora molto i volantini: una settimana fa a Gangneung, una città della costa est della Corea del sud, la polizia ha trovato vicino a un palazzo in costruzione un pacco contenente cinquemila volantini, chiavette usb e cd contenenti materiale propagandistico nordcoreano. L’evento di ieri mattina, da solo, potrebbe fare parte delle schermaglie piuttosto usuali nelle aree meno “turistiche” della Zona demilitarizzata. Dopo la chiusura degli impianti industriali congiunti è più difficile per la Corea del nord trovare spazi di accesso al Sud, per raccogliere informazioni o diffondere contro-propaganda. Ma la provocazione di ieri arriva soltanto ventiquattro ore dopo il secondo test missilistico nel giro di una settimana. Domenica scorsa Pyongyang ha testato con successo un altro missile balistico a medio raggio Pukguksong-2, che ora è pronto per l’utilizzo su larga scala, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa nordcoreana Kcna. Solo una settimana prima la Casa Bianca aveva avvertito Kim Jong-un di non continuare con i suoi test, “ma è come un tossicodipendente”, ha scritto ieri sul South China Morning Post Kim Beng Phar, “ogni volta che il suo popolo si trova a un punto basso, lui risponde con l’unico miglioramento che sa dargli”, ovvero un test missilistico, un trionfo militare. Vincent Stewart, direttore della Defense Intelligence Agency, ha detto ieri testimoniando al Senato che “la Corea del nord avrà presto la capacità di minacciare direttamente il territorio americano con una bomba nucleare. Non sappiamo quando, ma succederà”.

     

Intanto sono sempre più forti i sospetti che dietro l’enorme attacco hacker che nel giro di poche settimane ha colpito i sistemi informatici di aziende in oltre novanta paesi del mondo ci sia la Corea del nord. Lo ha detto in un’intervista al New York Times Eric Chien, analista della società di sicurezza informatica americana Symantec, spiegando che dopo aver seguito le tracce lasciate dal virus chiamato WannaCry, si sono resi conto che il pattern di operazioni era simile a quello usato dal Lazarus Group. Secondo alcuni analisti – e secondo l’intelligence americana – ci sarebbe il Lazarus Group dietro l’attacco hacker alla Sony Pictures del 2014, e dietro al Lazarus Group ci sarebbe la Corea del nord. Una speculazione confermata anche da un report della società russa Kaspersky Lab, che ha analizzato le decine di attacchi informatici a sistemi bancari di mezzo mondo, oltre a quello più famoso alla Banca centrale del Bangladesh del febbraio 2016, concludendo che Pyongyang avrebbe svolto un ruolo chiave in tutte le operazioni. Sofisticati attacchi informatici su larga scala, come quello di WannaCry, servono a spiare, a ricattare, forse. Operazioni più piccole e meno mediatiche contro gli istituti bancari servono, semplicemente, a rubare denaro.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.