Ariana Grande e, a sinistra, il simbolo creato per la strage di Manchester

Le bunny ears di Ariana Grande e l'inutile corsa a loghizzare ogni tragedia

Michele Boroni

Dopo la strage di Manchester sui social compare il simbolo creato ad hoc per testimoniare il lutto. Ma non è che amplificando il dolore si rischia di fare il gioco dei jihadisti?

Ormai siamo un po' tutti abituati alla “graficizzazione” delle notizie. Non vi è inchiesta o approfondimento senza un mirabolante infografica e i grandi eventi – di qualsiasi natura essi siano - vengono sempre rappresentati da loghi, sigle e simboli per renderli facilmente fruibili e condivisibili. L'uso di loghi e slogan sono stati molto utili per diffondere operazioni di solidarietà, come ad esempio la lotta all'AIDS o i vari movimenti pacifisti, con l'obiettivo di sintetizzare in forma pop concetti e messaggi complessi. La diffusione dei social media come istantanea forma informativa ha ancora più accentuato tutto questo e così anche i tanti eventi luttuosi post-attentati terroristici sono stati trasformati in loghi, slogan e simboli dagli utenti e prontamente condivisi anche dalle principali testate.

   

 

“Je suis”, “Pray for”, matite, monumenti simbolo stilizzati, sfondi di bandiere. Loghi e brevi slogan da trasformare in hashtag come gesto di solidarietà e di “presenza”. 

 

 

Anche l'attentato di Manchester al termine del concerto di Ariana Grande non si è sottratto a questa pratica. Alcune fan alla notizia della tragedia hanno postato su Twitter un simbolo creato ad hoc formato dal classico nastro ripiegato (nato all'inizio degli anni 90 per sensibilizzare sulla questione dell'AIDS) con le orecchie da coniglio che compaiono nell'ultimo disco della Grande “Dangerous Woman” e che sono diventate simbolo e merchandising per i fan della popstar americana (foto sopra). Il nuovo logo nero su sfondo rosa, condiviso rapidamente tra i fan, è stato adottato anche da molte testate giornalistiche e che insieme all'hashtag #PrayForManchester è diventato il simbolo di questo lutto. Ma la domanda è: ha senso tutto questa corsa a “loghizzare” ogni tragedia? Non è che amplificando il dolore – seppur in termini di solidarietà – si rischia di fare il gioco di jihadisti?

 

La domanda se l'è posta Francesco Taddeucci, pubblicitario e fondatore dell'agenzia “Humans”, sul suo profilo Facebook. “La verità è che questi loghi "post-attack" sono diventati degli esercizi stilistici, niente di più. Chi è più veloce a piazzare quello giusto pochi minuti dopo l'attacco, vince” ha raccontato al Foglio. “In questo modo si è perso completamente il senso di far viaggiare un simbolo che dovrebbe essere portatore sempre di qualcosa. Per il Red Ribbon per l'AIDS l'intento era chiaro: far conoscere al mondo questa terribile malattia. E ancora oggi viene usato con un preciso scopo: non dimenticarla. Ma questi sono degli smiley senza nessun contenuto: graziosi e istantanei, che sono due aggravanti. Loghizzare velocemente le orecchie di Ariana Grande post-strage non ha nessuno scopo: siamo già tutti solidali e impressionati per l'accaduto, specie poi mezz'ora dopo il fatto”.

 

In realtà non solo è inutile alla nostra consapevolezza, ma può essere addirittura dannoso. Continua Taddeucci “Il logo rappresenta un preciso ed efficace elemento di marketing che alimenta la notorietà e la 'viralità' dell'accaduto. Credo che se fossi un invasato jihadista non potrei chiedere di meglio che il mio gesto diventasse addirittura un logo, talmente diffuso da superare le impressions di svariati brand reali”.

 

La pratica di sintetizzare notizie importanti con loghi, titolo e immagini singoli, arriva in realtà dai canali all-news tipo CNN, nati ben prima dei social network. Abbiamo quindi chiesto un parere anche a Alessio Viola, giornalista di Sky Tg24 e curioso osservatore delle forme di comunicazioni digital “Anche a me questo logo legato alla tragedia di Manchester sembra un po' forzato. In realtà credo che tutta questa ricerca di simboli risponda a un'esigenza emotiva, anche giusta, di solidarietà. Come le candele o un fiore, solo che sono in un'ambiente digitale e globale. Il problema è che sono diventati una parte del format e ci stiamo tutti abituando anche a questo. Il prossimo passo sarà qualcuno farà lo spoiler del prossimo logo. Una roba da Minority Report”.