Emmanuel Macron (foto LaPresse)

La guida americana di Assange

Quel fumo antisistema che confonde il voto (chiaro) della Francia

Paola Peduzzi

Tutti contro Macron, che con il suo partito nuovo di zecca è fuori dal sistema per definizione. Storia di un cortocircuito

Digione, dalla nostra inviata. Sul palco dell’ultimo comizio prima del voto di domenica per le presidenziali francesi, appoggiato al leggio come se fosse a una festa e stesse chiacchierando con un drink in mano, Jean-Luc Mélenchon ha detto che “essere miliardari” è “una malattia mentale”, “una nevrosi” di cui è bene sbarazzarsi in fretta, altro che “il sogno” di cui parla l’ubercapitalista Emmanuel Macron. La retorica antiglobalista del candidato della France insoumise si sviluppa lungo le consuete linee dell’antiestablishment, del protezionismo, dell’antieuropeismo: è la faccia del cosiddetto populismo di sinistra, che in questo pezzetto di elettorato “indomito” – che si aggira secondo i sondaggi attorno al 20 per cento – è l’unica alternativa politica plausibile alla politica tradizionale. Anche il Partito socialista, scegliendo Benoît Hamon come candidato, si era spinto sullo stesso terreno estremo, ma il populismo è cannibale, il più radicale si mangia gli altri, Mélenchon ha mangiato Hamon.

 

Macron, leader di En marche!, è il nemico numero uno, anche per i candidati di destra, populisti e non, Marine Le Pen e François Fillon, e così questo voto presidenziale, con i suoi scandali e le sue sorprese, diventa in un sol colpo lo specchio di una frattura francese ed europea – che nacque con il referendum del 2005 in cui vinse il “no” al Trattato costituzionale europeo – e di una frattura globale, quella tra liberali e antiliberali, che è il motivo per cui tutti osserviamo il voto per l’Eliseo per comprendere in che stato versa il nostro ordine mondiale. Ma c’è una sfumatura ulteriore, come sottolineava ieri il Monde: la cosiddetta lotta al sistema ha preso una strada tutta nuova, perché ogni candidato a suo modo tenta di rivendersi come il paladino di questa battaglia – e anche questo contribuisce a rendere tanto confusi gli ultimi giorni di campagna elettorale. Julian Assange, fondatore di Wikileaks e punto di riferimento del mondo dell’antiglobalizzazione e antisistema con tendenza putinian-complottista, ieri ha twittato una “guida americana” alle elezioni francesi: “Macron: un’Hillary di trentanove anni; Le Pen: una Trump femmina senza le gaffe e con un grande sostegno giovanile; Fillon: Romney senza la religione; Mélenchon: Sanders”. Assange fa il tifo per Mélenchon, anche se pure la Le Pen non andrebbe male, visto che entrambi gli offrirebbero asilo politico se mai dovesse essere estradato negli Stati Uniti. E’ chiaro dunque che cosa c’è in ballo, nel voto per l’Eliseo.

 

Macron, con il suo partito nuovo di zecca, nato un anno fa come un movimento di popolo “en marche” per superare la dialettica tradizionale destra-sinistra, è per definizione fuori dal sistema. Quando nacque En Marche! molti commentatori pensarono che il movimento sarebbe stato la tomba del suo fondatore: un partito nato dal nulla con un leader che non ha mai partecipato a una contesa elettorale che aspira ad andare all’Eliseo? Che follia. Poi, con un pizzico di fortuna (il collasso di Hamon e gli scandali del candidato della destra François Fillon), Macron è diventato un’alternativa plausibile agli antiglobalisti – nonché l’unica. Ma da quel momento, quando le chance di successo dell’ex ministro dell’Economia sono diventate realtà, i suoi avversari hanno cominciato a descriverlo come il pupillo del sistema: un banchiere-tecnico della politica con la fissa delle riforme e dell’Europa non è forse quintessenza dell’establishment? Macron è “uno spasmo del sistema”, dicono nel mondo della sinistra radicale legata a Mélenchon; è “l’ennesimo imbroglio”, ha detto un membro dello staff di Marine Le Pen, leader del Front national. Ecco creato il cortocircuito dell’antisistema, la rincorsa al voto arrabbiato e al risentimento che confonde una scelta in realtà semplice: liberali di qui, antiliberali di là, e il confine non è affatto poroso.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi