Da sinistra Emmanuel Macron e Francois Fillon (foto LaPresse)

Nuovi scandali per Fillon. Mentre Macron raccoglie consensi

Mauro Zanon

Il candidato del centrodestra avrebbe preso 50 mila euro per organizzare un incontro tra Putin e un petroliere libanese. Intanto c'è chi si interroga sul leader di En Marche!: può un centrista vincere in Francia?

Parigi. Sulle pagine di opinione del quotidiano economico Echos, Jean-Marc Vittori l’ha chiamato “syndrome Lecanuet”. Ossia il rischio, per Emmanuel Macron, candidato all’Eliseo e presidente del movimento politico En Marche!, di fare la stessa fine di Jean Lecanuet, leader centrista che nel 1965 si presentò alle elezioni presidenziali difendendo un programma riformatore, europeista e di rinnovamento profondo della vita politica, ma dopo essere stato incensato dai media, e consacrato dai sondaggi, finì per arrivare terzo, ed essere rapidamente rubricato nel novero delle meteore politiche. “Un homme neuf… une France en marche”, recitava lo slogan dell’allora presidente del Mouvement républicain populaire, i cui avversari erano un certo Charles de Gaulle e un certo François Mitterrand. Ma questo Macron ante litteram, come lo chiama oggi certa stampa parigina in ragione delle molte similitudini con l’ex ministro dell’Economia – era telegenico, era giovane, era un gran seduttore e si definiva il “Kennedy francese” – viveva in un’epoca differente, che non sentiva il bisogno impellente di una rupture, di una rottamazione, di uno stacco netto con il passato, come invece sente oggi questa Francia in crisi di identità e di grandeur.

 

Tuttavia, la domanda resta la stessa: un centrista può veramente vincere e governare nella Francia del 2017? “La risposta è molto difficile, perché permangono ancora troppe incertezze sulle intenzioni degli elettori. Come ha evidenziato un recente sondaggio del Cevipof (Centro di ricerche politiche di Sciences Po, ndr), soltanto il 33 per cento delle persone che hanno intenzione di votare per Emmanuel Macron alle presidenziali ha affermato che la propria scelta è ‘definitiva’”, dice al Foglio Agnès Verdier-Molinié, economista liberale e presidente della Fondation iFrap. “I francesi non sono tagliati fuori dalla realtà e sono ben coscienti che per governare ci vuole una maggioranza. La vera questione è dunque se Macron, in caso di elezione, riuscirà a ottenere una maggioranza che gli permetta di guidare il paese e fare le riforme che ha in programma, ma anche come sarà composta questa maggioranza”, spiega Verdier-Molinié, prima di aggiungere: “Essere presidente non basta, ci vuole anche un governo, e il governo è l’emanazione della maggioranza del Parlamento. Il rischio, per Macron, è quello di ritrovarsi una maggioranza di destra dopo le elezioni legislative di giugno, e di conseguenza con un governo di coabitazione: il candidato di En Marche! all’Eliseo, e un membro della destra a Matignon. E tutti sanno che la macchina riformatrice viene azionata e gestita nella sede del primo ministro”.

 

Se è vero che durante la Quinta Repubblica, le elezioni presidenziali si sono spesso giocate e vinte al centro – è il caso di Valéry Giscard d’Estaing, negli anni Settanta – è vero anche che un centrista puro non ha mai vinto le elezioni. “In Francia c’è voglia di una vera alternanza e per molti Macron rappresenta la continuazione di Hollande. Prendere un po’ a destra e un po’ a sinistra, cercando costantemente di mantenere l’equilibrio per non dispiacere a nessuno, facendo contento sia Robert Hue (ex segretario del Parti communiste français, ndr) e Alain Madelin (fondatore del partito Démocratie libérale), potrebbe a lungo termine nuocere al candidato di En Marche!”, dice Verdier-Molinié. Tuttavia, Macron, “potrebbe riuscire a radunare i riformatori di tutti gli schieramenti politici”, spiega Verdier-Molinié, che ha appena pubblicato un libro-programma, “Ce que doit faire le prochain président” (Albin Michel), nel quale consiglia al prossimo presidente – “Macron probabilmente, ma attenzione al ritorno di Fillon”, dice – quali sono le misure prioritarie, e molto liberali, per risollevare il paese e in grado di liberarlo dall’asfissia fiscale e dall’ipertrofia normativa che lo attanagliano.

 

Il candidato che più degli altri si avvicina alle “misure indispensabili” sollecitate dalla fondation iFrap, “è François Fillon” dice l’economista, davanti a Macron, il quale però, in attesa di convincere i liberali che le sue promesse saranno mantenute, continua a registrare adesioni. L’ultima è quella di Barbara Pompili, attuale segretario di stato alla Biodiversità e figura di spicco degli ecologisti, in attesa di quella, oramai certa, di Jean-Yves Le Drian, influente ministro della Difesa. L’affaire sui presunti impieghi fittizi delle due figlie come assistenti parlamentari che ha travolto l’attuale ministro dell’Interno, Bruno Le Roux, potrebbe però ridimensionare lo scandalo simile che sta rovinando la campagna di Fillon. Ma Le Roux si è subito dimesso, ed è stato sostituito da Matthias Fekl, mentre Fillon sarebbe indagato anche per truffa sul Penelopegate ed immerso in una nuova querelle: avrebbe preso 50 mila euro da un petroliere libanese per organizzare un incontro con il presidente russo, Vladimir Putin.