Angela Merkel e Donald Trump nello Studio Ovale (LaPresse)

Quell'impostore è anche cafone (altro che cucù). Legategli presto le mani

Giuliano Ferrara

Trump ha distrutto il bipolarismo di sistema, ha sfasciato l'ordito che tiene insieme la società americana. Per Jon Stewart, Berlusconi a confronto è un Adlai Stevenson. Ben detto

Impostore e cafone. Non dà la mano alla Merkel, altro che cucù, e spara alto con le sue meschine ragazzate. “Migrare non è un diritto”, detto nella capitale degli Stati Uniti d’America, è robaccia. Chiunque lo capisce. Sarà un diritto da regolare, sarà un problema sociale e politico, ma non c’è straccio di presidente che possa cambiare la faccia del mondo contemporaneo per fare una interminabile campagna elettorale basata sulla demagogia, sui sofismi, sugli imbrogli. Trump andrebbe cacciato, e presto. In due mesi si è visto che non ha in mano un rapporto solido con il Congresso a maggioranza repubblicana, che non sa fronteggiare l’opposizione vasta e maggioritaria nel paese altro che con minacce, ritorsioni, accuse senza prove, si è visto che ha insediato un gruppazzo di mezzi dementi e consiglieri di quarta categoria, gente a libro paga di Putin come il generale Flynn, gentucola di un giro familista e affarista. E per fortuna che qualcuno ha sapientemente messo in salvo il Pentagono, per fortuna che giudici e stampa fanno il loro dovere civico secondo le regole della democrazia liberale americana, sennò saremmo già a un caso inaudito di tirannia infantile, di narcisismo subliminale al potere. O Trump viene immobilizzato e destituito nei fatti da un apparato consapevole dei suoi doveri o dovrà essere cacciato in malo modo con ogni mezzo.

Fate pure finta di niente, illudetevi sul programma di rinascita del presidente degli americani dimenticati. Presto vi dovrete convincere che l’elezione di Trump è stata un grave incidente del sistema rappresentativo, l’uomo di fiducia che con le sue fole gira nel battello sul Mississipi è un colossale mistificatore, un professionista della truffa, un con artist che non vede al di là del proprio naso. Un artista, certo, uno che ha subodorato malesseri, malmostose intolleranze, viltà e cinismi vari, ingenuità, imprudenza e rabbia del popolo inteso come folla, più i segnali che vengono dai mercati politicamente sazi di otto anni di ripresa economia e finanziaria dopo la crisi del 2008, e ora contenti in sovrappiù di avere nel truffatore in chief uno che fa del populismo d’accatto e contemporaneamente affitta la Casa Bianca ai grandi di Wall Street e del management industriale, puntando sul deal bilaterale, cioè sullo scambio propagandistico di minacce e utilità politiche.

Trump come tutti i bambini capricciosi è simpatico, chi lo nega, ha il gusto della battuta che gli riesce bene nel suo lessico semplice di 700 parole, e la sua elezione per il rotto della cuffia e contro il voto popolare è giustificata da mille circostanze e due imbrogli indimenticabili di Kgb e Fbi. Ma al capo dell’America si richiede tassativamente di essere adulto. Se c’è un disavanzo commerciale con la Germania, la faccenda va affrontata con il negoziato e il sorriso, bisogna sapere che esiste un’Unione europea di cui la Germania fa parte, che la Cancelleria di Berlino è in diritto di esigere rispetto, rappresenta 80 milioni di europei tedeschi accanto ad altre centinaia di milioni di europei di altre nazionalità, non è una sindaca di un paesino del Michigan o dell’Ohio. Chi crede all’impazienza strategica degli Stati Uniti davanti alla Corea nucleare dell’ultimo Kim? Chi si fida di processi decisionali maturati in un ambiente infido, fuori controllo, voglioso di censura e di bando verso l’occhio decisivo delle telecamere e dei reporter? Chi si fida di un tipo che è capace di sacrificare alla demagogia gli interessi primari del suo paese e del mondo intero? Uno che non sa niente e il primo consigliori che passa è in grado di sviarlo e di solleticarlo conoscendo l’unica regola che egli rispetti, quella del suo Ego immenso, turgido, pericoloso a sé e agli altri? Come si fa a dare credito a uno che in pochi giorni lancia accuse non sostanziate da prove, le ritira, le ripropone mettendo in allarme il Foreign Office e le cancellerie di tutto il mondo?

Jon Stewart ha detto che in confronto a Trump, Berlusconi era Adlai Stevenson. Ben detto. I comici qui fanno ridere, altrove fanno ridere e pensare. Stevenson era una testa d’uovo, il prototipo dell’intellettuale competente, incapace di prendere voti, di avere consenso, ma perfetto uomo di stato per definizione in base alla sua cultura e alla sua integrità. Berlusconi irruppe in un’Italia davvero in crisi nera, con il sistema politico spogliato della sua autorità intieramente, con una carovana di improvvisati progressisti, capitanati dal caro Occhetto e da Leoluca Orlando, l’Orlando di allora, e indirizzati verso non si sa dove. Economia e occupazione erano a pezzi. La svolta Berlusconi la rese possibile incarnando il maggioritario, federando l’Italia moderata e conservatrice, tentando sortite intelligenti ed equilibrate nonostante la persecuzione personale e del suo gruppo da parte di una magistratura che si avviava alle presenti fastose celebrazioni politiche, all’assalto della democrazia e dei partiti con tipi anche piuttosto loschi. Ha fatto fuori tutti gli avversari per vent’anni, impeccabilmente passati e al governo e all’opposizione, senza fare un uso fazioso delle sue televisioni, con l’ausilio di Gianni Letta e non di Steve Bannon, trovando soluzioni anche troppo equilibrate e comportandosi con rispetto rigoroso delle istituzioni, perfino quelle piegate alla battaglia contro di lui dal clericalismo e dalla faziosità (caso Scalfaro), sebbene in opposizione alla loro caricatura antiberlusconiana. In America è l’opposto. Un impostore ha distrutto il bipolarismo di sistema, ha vinto nelle condizioni che sappiamo sfasciando lui, come un Di Pietro globale impadronitosi della scorrettezza politica, di cui fa un uso infame, l’ordito che tiene insieme la società americana. O gli legano presto le mani, e definitivamente, oppure finirà che qualcuno gliele batterà sul muso, e saranno tempi neri, nerissimi.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.