Donald Tusk (foto LaPresse)

La frattura tra est e ovest indebolisce la riforma dell'Unione europea

David Carretta

Donald Tusk è stato confermato per altri due anni e mezzo come presidente del Consiglio europeo. Ma l’autoisolamento della Polonia non è positivo né per il paese né per l’Europa”, dice Bildt. Il rischio è la paralisi dell’Ue

Bruxelles. Nel momento in cui l’Unione europea cerca di mostrarsi unita dopo la Brexit, molto più di Donald Tusk, sono l’Europa sociale e l’Europa a più velocità che rischiano di ampliare la grande spaccatura tra l’est e l’ovest del continente. L’ex premier polacco ieri è stato confermato per altri due anni e mezzo come presidente del Consiglio europeo, malgrado l’opposizione del governo del suo paese. La rivolta della premier di Varsavia è stata schiacciata in venti minuti con un voto 27 a 1. Beata Szydlo non è riuscita a reclutare nemmeno il monello ungherese, Viktor Orbán, che ha rispettato le direttive del Ppe sulla conferma di Tusk. “La rielezione del presidente del Consiglio europeo è positiva”, spiega l’ex ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt. “Ma l’autoisolamento della Polonia non è positivo né per il paese né per l’Europa”, dice Bildt. In gioco non c’è solo lo status polacco. Il rischio è la paralisi dell’Ue. Varsavia conserva il diritto di veto su diverse questioni, a partire dalle conclusioni dei Vertici europei, come quello di Roma sul futuro dell’Ue dopo la Brexit. Inoltre, la Polonia avrà gioco facile a creare una “coalition of the unwilling” per bloccare le iniziative sull’Ue sociale e l’Ue a più velocità.

Secondo alcuni leader, il pilastro sociale della costruzione comunitaria dovrebbe diventare il nuovo mantra per riconnettere i cittadini all’Ue. La prossima uscita del Regno Unito dovrebbe facilitare la nascita dell’Europa sociale. “Con i leader progressisti lavoreremo per mettere nell’agenda e sul tavolo l’impegno per la crescita e per la protezione sociale”, ha detto ieri il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. “L’Europa deve al contempo proteggere e garantire progresso”, il che significa “concepire un’armonizzazione fiscale e sociale”, ha spiegato il presidente francese, François Hollande. Le conclusioni del Consiglio europeo fanno riferimento a un Social Summit che si terrà a Goteborg il 17 novembre.

 

A fine aprile il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, presenterà un documento di riflessione sulla “dimensione sociale dell’Unione” che dovrebbe essere la base per armonizzare gli standard dei 27 che resteranno dopo la Brexit. Ma l’Ue sociale è una linea rossa da non valicare per i paesi dell’est, che sulle questioni economiche sono molto britannici. “Il benessere sociale dei nostri cittadini è un obiettivo chiave per noi” ma “gli standard sociali non possono essere uniformi” in tutti gli stati membri, dice una dichiarazione del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia) della scorsa settimana: “Il progresso sociale deve seguire la crescita economica”, non essere imposto da standard a Bruxelles. Quanto all’armonizzazione fiscale di Hollande, la “coalition of the unwilling” si allargherebbe a paesi come Irlanda e Olanda.

 
Sull’Europa a più velocità, lo stesso Tusk negli scorsi giorni ha espresso le sue perplessità, definendo il progetto che dovrebbe essere formalizzato a Roma come un “avvertimento”: una minaccia diretta contro i paesi dell’est più euroscettici o riottosi ad accettare rifugiati. Lunedì a Versailles Hollande, Angela Merkel, Gentiloni e Mariano Rajoy avevano dato la benedizione all’Ue a più velocità. La bozza di dichiarazione del Vertice del 25 marzo a Roma dice che “l’unità è una necessità”, ma occorre riconoscere che “alcuni di noi possono muoversi più rapidamente in alcuni settori”. Agli occhi di Tusk, “se a Roma deve nascere un bambino, il suo nome deve essere unità e non multivelocità”. Il gruppo di Visegrad è sulla stessa linea. ““Non è facile essere un buon europeo quando si è est-europeo. Gli est-europei hanno una storia diversa, istinti di base diversi e valori tradizionali”, ha ammesso ieri Orbán. Il premier ungherese parlava di immigrazione. Ma vale anche per economia e futuro istituzionale.