Un sostenitrore di Donald Trump a Washington (foto LaPresse)

Inconscio pro Trump

Alfonso Berardinelli
La sconfitta di Hillary è quella della sinistra che pensava di avere in pugno il senso della storia

Prima di sapere che Trump aveva vinto, l’altra mattina, dopo essere andato a dormire incerto, ho aperto gli occhi e mi sono detto: “Ha vinto Trump”. Chi me lo aveva annunciato in sogno? Me lo aveva annunciato l’inconscio, quel luogo della cosiddetta interiorità nel quale tendiamo a nascondere molte cose e in cui le idee hanno meno autorità delle intuizioni e degli istinti. In effetti è stato il vasto inconscio sociale degli americani ad abbracciare, come in sogno, Donald Trump per paura che la Clinton con l’islamismo e con Putin non potesse farcela. Molti americani hanno sentito che il ricco e poco onesto Trump viene e parla “dal basso e da fuori”, mentre la correttissima Clinton viene dalla politica e dall’università, cioè da dentro e dall’alto.
Storicamente la sinistra è stata forte e vitale finché nasceva e rinasceva dalla capacità di interpretare la più ampia realtà sociale, le sue necessità, le sue esigenze e perfino i suoi sogni. Ha cominciato a indebolirsi e a deperire quando si è accontentata della certezza ideologica di avere in pugno una volta per tutte il senso della storia e la direzione di marcia del futuro.

 

E’ stata soprattutto la sua componente comunista che, grazie al marxismo (teoria un tempo autorevolissima), ha maggiormente contribuito a diffondere, a cristallizzare, a sclerotizzare quell’orgoglioso senso di superiorità intellettuale. Va aggiunto che dopo l’abbandono quasi improvviso, con l’inizio degli anni Ottanta, del teoricismo marxista, quella cultura si è trasformata in una “mentalità” di casta, in una presunzione povera o priva di contenuto, e in quanto tale inadatta sia a percepire che a studiare i fenomeni sociali.

 

Ho spesso pensato che da vari decenni uno dei guai della sinistra è stato di avere fra i suoi intellettuali di riferimento più filosofi e politologi che studiosi empirici di scienze sociali. Quando poi i poveri e disprezzati sociologi, per farsi ascoltare almeno un po’, si sono trasformati in “sondaggisti”, hanno cominciato a vorticare nell’aria nuvole di numeri e numeretti, ma l’insieme sociale restava un mistero. In realtà sarebbe forse bastato entrare e passare un paio d’ore in un bar di periferia per capire della società qualcosa di più.

 

Queste considerazioni così scolastiche, semplicistiche, o se volete volgari, ogni tanto sarebbe bene farle. Altrimenti, come è avvenuto, non ci si spiega niente e si ripete come una giaculatoria autoipnotica che è tutta colpa del “populismo” se la destra vince, dai tempi del Cavalier Berlusconi, passando per la xenofobia e arrivando alla presente vittoria del cafone impresentabile, ma politicamente outsider, Donald Trump.

 

Nel discorso che ha pronunciato subito dopo la notizia della sua vittoria, Trump ha detto con un orgoglio obiettivamente beffardo che dietro la sua ascesa c’è un “movimento”, c’è un’ondata sociale della cui crescita le migliori menti di sinistra non si erano accorte. Paul Krugman, che in quanto premio Nobel per l’Economia qualcosa di scienza sociale dovrebbe pur capire, si è detto “totalmente disorientato” dal successo di Trump. Io che non sono niente e non capisco niente, ma i circoli intellettuali li frequento poco, ho intuito che Trump non era solo un criminoso razzista, ma un pericolo serio per la sinistra americana quando pronunciò la sua frase più scioccante, oltre che obiettivamente inverosimile: “Fuori tutti gli islamici”.

 

Era possibile negli Stati Uniti buttare fuori dai confini milioni di islamici? No, non era possibile. Ma chi non capiva il problema, o meglio l’istinto sociale di cacciarli, sottovalutando l’impatto che hanno avuto gli attentati islamisti su tutti i paesi occidentali, dimostrava una totale mancanza di “empatia” sociologica. Tecnicamente, come qualcuno ricorda, empatia non significa simpatia. Significa capacità di identificarsi con altri diversi da sé, magari avversari, o nemici, senza nessuna speciale partecipazione emotiva.

 

Dicendo che capisco perché Trump ha vinto sulla Clinton nonostante la pessima impressione che faceva anche a me la sua estetica e il suo linguaggio, non significa affatto che io lo avrei votato. Probabilmente avrei votato Hillary solo perché trovavo irresistibile Michelle Obama, la sua irruenta e generosa sostenitrice.

 

Ancora una volta se dico che la sinistra è diventata cieca alla società, anche qualche caro amico sarà tentato di dirmi che sono “diventato di destra”. L’altra sera, a cena, una garbata signora, intelligente editrice, mentre cercavo di spiegare e di spiegarmi la faccenda, ha sentito il bisogno di tapparmi la bocca definendomi “maschilista”. Chissà, forse maschilisti sono molti americani elettori di Trump, che quando i conflitti internazionali fanno paura, può accadere che si preferisca un cafone spavaldo e populista che le spara grosse piuttosto che una donna, già moglie di un presidente, che ha qualche problema di salute e sembra appena uscita dal college. Sto dicendo cose che non vanno dette? O cerco di auscultare “empaticamente” che cosa ha spinto molti a votare Trump?

 

Segnalo infine quello che mi disse un mese fa una cara amica di sinistra, nonché ovviamente femminista: “Non sopporto la Clinton, ma speriamo che vinca”. Poteva vincere un candidato come lei, poco amato perfino dai suoi? La sua sola forza era di evitare che Trump vincesse. Ma oltre a questo, in mano non aveva molto.

Di più su questi argomenti: