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Cosa vuole fare davvero Trump per l'Uomo dimenticato
Roma. Nel suo breve discorso immediatamente successivo alla vittoria elettorale di martedì scorso, il presidente designato degli Stati Uniti, Donald Trump, ha omaggiato “the forgotten men and women of our country”, gli uomini e le donne dimenticati di questo paese. Il magnate non sarà uomo di colte citazioni, ma quel riferimento è risuonato eccome nelle orecchie di tanti analisti americani. Ieri il New York Times vi ha dedicato l’articolo in palchetto della sua pagina dei commenti, firmato da Beverly Gage, professore di Storia a Yale. Il Foglio ne ha parlato invece con Amity Shlaes, storica di professione, già direttrice del programma economico del George W. Bush Presidential Center e oggi presidente della Calvin Coolidge Presidential Foundation.
Nel suo libro “L’uomo dimenticato”, pubblicato in Italia da Feltrinelli, la Shlaes ha analizzato la Grande depressione degli anni 30 proprio alla luce dell’espressione coniata originariamente ai primi del ’900 dal filosofo William Graham Sumner. Il quale lo spiegò così: “Appena A nota qualcosa che gli sembra sbagliato, qualcosa per cui X soffre, ne parla con B, poi A e B insieme propongono un disegno di legge per sanare il male e venire incontro a X. La loro legge si prefigge di decidere che cosa farà C per X. Io intendo studiare C. Lo chiamo l’Uomo dimenticato. Forse non è una definizione correttissima, ma è l’uomo a cui non si pensa mai. Lavora, vota, di solito prega, ma sempre paga”. La Shlaes, attingendo a nuova e inedita documentazione, ha ribaltato una vulgata a suo giudizio semplificatrice e solo celebrativa sui grandiosi piani di sostegno all’economia del presidente democratico Franklin Delano Roosevelt (FDR), raccontando invece le difficoltà che il New Deal – tra sussidi ad alcuni settori e regolamentazioni stringenti in altri – causò a milioni di “uomini dimenticati”.
Come i fratelli Schechter, macellai di Brooklyn ai quali per ragioni ideologiche fu impedita la concorrenza sui prezzi dei loro polli, che soltanto nel 1935 l’ebbero vinta su FDR davanti alla Corte suprema. Arrivando all’oggi, dice la Shlaes al Foglio, “il messaggio di Trump, durante la campagna elettorale, è stato decisamente attraente per ‘l’uomo dimenticato’ di questi giorni. Ma anche vago. Ergo, soltanto le scelte politiche dei prossimi quattro anni diranno se ‘l’uomo dimenticato’ beneficerà davvero della presidenza Trump. Sia il democratico Roosevelt dal 1933 al 1945 sia Ronald Reagan dal 1981 al 1989 fecero appello all’Uomo dimenticato, ma soltanto il secondo fece davvero il suo bene”. Nel senso, spiega Shlaes, che FDR mise in campo programmi dispendiosi per i pensionati, per esempio, o norme che favorivano di molto gli operai sindacalizzati, conquistando consenso politico ma senza risollevare l’economia ai livelli pre-depressione. “Se Trump sceglierà quella strada, lasciando che il pil aumenti del 2 per cento l’anno come oggi, elargendo qualcosa a gruppi ben specifici, fosse il salario minimo per alcuni o un po’ di protezionismo per altri, assomiglierà a FDR. Cioè avrà usato la retorica dell’Uomo dimenticato, salvo poi abbandonarlo nei fatti”.
La storica è convinta che la bassa crescita dell’èra Obama, ovviamente se comparata alle tendenze storiche, ha aggravato soprattutto “la percezione delle prospettive future delle classi lavoratrici e dei professionisti”. Allo stesso tempo ritiene però “triste” che le élite americane non siano state capaci negli anni di far comprendere “gli effetti enormemente benefici del commercio internazionale”: “Molti non ricordano nemmeno come fosse la vita prima del libero scambio con il resto del mondo: i giocattoli che compriamo ogni due settimane ai nostri figli erano costosi, le cucine quasi inaccessibili, e non parlo dell’aria condizionata. Solo per dire”. Se invece Trump, “deregolamentando e abbassando le tasse, perseguisse una crescita del 4 per cento, che è alla portata, calcherebbe le orme di Reagan, mettendosi al servizio della generalità del paese e conquistando a lungo – come fece lui – ampie fette dell’elettorato democratico. E pure lui fu considerato una barzelletta, all’inizio, dal giornalismo che contava”. Ma nulla è detto, al momento, precisa la storica Shlaes. Che infine avverte pure che “it’s the economy, stupid” non basta: “L’Uomo dimenticato, oggi, è risentito anche per il politicamente corretto impazzito e dilagante. Le élite dovrebbero capirlo”.

Una questione di credibilità