Mike Pence in diretta dopo l'elezione di Trump e una mappa dei risultati elettorali (foto LaPresse)

Cattolici per Trump. The Donald ha fatto meglio perfino di Bush

Matteo Matzuzzi
Il ruolo del vice Pence, “cristiano, conservatore e repubblicano”. Determinante anche il trattamento che i cattolici hanno ricevuto dall’Amministrazione Obama e dalle élite progressiste. Quanto ha pesato il voto cattolico alle presidenziali di martedì.

Roma. Il 52 per cento dei cattolici americani ha votato Donald Trump, contro il 45 di quanti hanno scelto Hillary Clinton. Una differenza di sette punti, addirittura superiore a quella registrata da George W. Bush nel 2004 contro il democratico John Kerry (52 a 47). Nelle ultime due elezioni – e perfino in quella del 2000, quando a Bush si opponeva il liberal Al Gore, vicepresidente uscente – i Dem avevano sempre prevalso: di due punti nel 2012 (Obama vs Romney), di nove nel 2008 (Obama vs McCain). I cattolici ispanici hanno preferito come da previsione Clinton, benché con percentuali meno ampie rispetto a quattro anni fa. Si tratta di numeri meritevoli di sottolineatura, soprattutto se si considera che “Trump sembrava meno allineato con i tipici ‘valori cattolici’ rispetto a un candidato come Mitt Romney (che è mormone, ndr), che seppur di poco perse il voto cattolico nel confronto con Obama”, ha scritto la National Review. Voto, quello cattolico – che rappresenta circa il 25 per cento dell’elettorato complessivo (stabile nelle varie tornate elettorali) – che mai è stato “proprietà” di uno dei grandi partiti americani e che stavolta ha punito sia le politiche degli otto anni di Barack Obama sia la piattaforma ben poco conforme ai princìpi cristiani (58 per cento a 39 in favore di Trump è stato il voto dei protestanti) di Hillary Clinton.

 

Ha scritto Alexandra DeSanctis sempre sulla National Review che è stato determinate il “trattamento che i cattolici hanno ricevuto dall’Amministrazione Obama e dalle élite progressiste” più che una naturale predisposizione del presidente eletto a far propri quei valori specifici. “Benché abbia sostenuto il movimento pro-life e la libertà religiosa, i suoi pregressi in questo campo sono meno chiari. Data la sua storia di appoggio ai democratici, di certo su aborto e matrimonio non pare essere il miglior paladino dei valori cari ai cattolici”, ha aggiunto DeSanctis. Ecco perché l’investitura ha più i tratti del credito di fiducia per i prossimi due anni, a scadenza dei quali si tornerà alle urne per rinnovare la Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato. Fiducia però non improvvisata, dal momento che il vicepresidente repubblicano sarà quel Mike Pence che per definire se stesso ha detto “sono un cristiano, un conservatore e un repubblicano, in quest’ordine”.  

 

I motivi della scelta pro Gop sono insomma più profondi, e forse non è stato dimenticato l’annuncio che il Dipartimento alla salute fece il giorno stesso in cui fu inaugurato il secondo mandato obamiano e cioè che i datori di lavoro di un’azienda avrebbero dovuto fornire ai propri dipendenti contraccettivi, senza badare troppo a considerazioni religiose personali. In mezzo alla battaglia contro l’Obamacare erano finite scuole cattoliche, ospedali e perfino le Piccole sorelle dei poveri di Madre Teresa, che il Papa volle visitare durante il suo viaggio a Washington dell’anno scorso: “L’obiezione di coscienza è un diritto. E se a una persona viene negata l’obiezione di coscienza, le si nega un diritto”, disse Francesco a proposito.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.