Angela Merkel (foto LaPresse)

Tutele e intervento. Merkel lancia il modello renano di liberalismo online

Daniel Mosseri

Con l’arrivo in pochi mesi di un milione di profughi mediorientali invitati e accolti proprio da Merkel, i contenuti razzisti in rete sono esplosi. Viene dunque da chiedersi se alla tutela della libertà d’impresa digitale si accompagni una rinnovata presenza delle istituzioni a riequilibrare gli scompensi socio-culturali provocati da Internet.

Berlino. La sfida è appena iniziata ed è ancora presto per sapere come andrà a finire. Anche perché lo scontro si gioca su due fronti diversi. I contendenti invece sono noti: Angela Merkel contro i giganti di Internet, su tutti Google e Facebook, ma la lista potrebbe essere più lunga. Difficile dire se la cancelliera tedesca attacchi dal lato destro o da quello sinistro del ring. Dipende cioè se si parla di contenuti o di metodi. Nel primo caso la leader cristiano-democratica (Cdu) classe 1954 ha mostrato il volto poliziesco di chi vuole censurare i post di Facebook. Nel secondo ha fatto invece sua una campagna per la libertà di comunicazione nella rete. “Io sono dell’opinione che gli algoritmi di ricerca dei giganti di Internet debbano essere resi di pubblico dominio, così che i cittadini interessati possano interrogarsi anche su questioni quali: ‘Cosa influenza il mio comportamento e quello degli altri su Internet?’”, ha detto alla platea di Monaco dei Medientagen, principale kermesse della comunicazione professionale in Germania. “Se non sono trasparenti, questi algoritmi possono portare a una distorsione della nostra percezione e a ridurre l’ampiezza delle informazioni ricevute”.

 

In altre parole Merkel ha messo in guardia dai meccanismi che informano le nostre ricerche online, per i quali rischiamo di trovare solo opinioni simili alla nostra o quelle raccomandate dai nostri amici; da chi, in sostanza, già la pensa come noi. Il rischio è l’appiattimento delle idee là dove la democrazia si nutre del confronto fra opinioni divergenti. “Si tratta di uno sviluppo da monitorare con attenzione”, ha aggiunto, spiegando che le grandi piattaforme Internet sono diventate “la cruna dell’ago attraverso la quale i diversi media sono obbligati a passare”. Novella paladina della libertà digitale, Merkel ha detto no alle “eco chamber” che amplificano contenuti già conosciuti, e no alle gabbie di filtri che propongono risultati cuciti addosso alle nostre preferenze censurando di conseguenza gli altri.

 

Eppure si tratta della stessa leader politica che lo scorso agosto ha mosso il suo guardasigilli socialdemocratico Heiko Maas contro Facebook, Twitter e Google. Nella Germania denazificata l’incitamento all’odio razziale è un tabù, ma con l’arrivo in pochi mesi di un milione di profughi mediorientali invitati e accolti proprio da Merkel, i contenuti razzisti in rete sono esplosi. Specialmente su Facebook. Maas è andato in pressing su Marc Zuckerberg, sollecitando la rimozione delle invettive xenofobiche, islamofobiche e antisemite entro 24 ore dalla loro messa in rete. Pochi giorni fa il ministro si è lamentato della scarsa cooperazione, ventilando “conseguenze per le imprese che non si assumono le lori responsabilità”. Con lui è sceso in campo anche il capogruppo Cdu al Bundestag, Volker Kauder, minacciando multe da 50 mila euro per ogni post razzista online.

 

Viene dunque da chiedersi se la grande coalizione abbia in mente un modello renano anche per la rete, nel quale alla tutela della libertà d’impresa digitale si accompagni una rinnovata presenza delle istituzioni a riequilibrare gli scompensi socio-culturali provocati da Internet. “Non è così”, risponde da Bruxelles Joe McNamee, direttore di European Digital Rights (Edri). “La trasparenza dell’algoritmo è una questione importante ed è un bene che sia stata sollevata”. Fino a ora, ricorda, solo il Consiglio d’Europa se ne è occupato allestendo un comitato ad hoc. E’ dunque “eccellente che Merkel investa la sua leadership su un punto così importante né mi risulta che altri leader lo abbiano fatto”.

 

Tuttavia per McNamee l’approccio di Berlino contro l’istigazione razziale non completa ma contraddice la spinta libertaria. “In un’interrogazione parlamentare è stato chiesto quante inchieste giudiziarie siano state aperte in relazione ai 100 mila post cancellati da Facebook ad agosto e il governo ha risposto di non avere informazioni sui post in questione”. Il che significa che l’esecutivo tedesco non sta applicando una legge con specifiche limitazioni alla libertà di espressione e sanzioni proporzionate al crimine di incitamento all’odio. “Ed è inaccettabile che in una società democratica, in uno stato di diritto, non vi sia applicazione di una legge, magari in collaborazione con le imprese del settore, ma la privatizzazione di fatto della libertà di parola”. Questo, per McNamee, il nocciolo della contraddizione: “Da Facebook si pretendono responsabilità e trasparenza sui post razzisti e poi si chiede a Facebook di fare il giudice dell’incitamento all’odio, senza responsabilità né trasparenza”. La via al capitalismo renano online è ancora lunga.