Cina, il presidente americano Obama ad Hangzhou per il summit G20 (foto LaPresse)

Aspettando Trump&Hillary, Obama si scopre protezionista con Pechino

Giancarlo Salemi
Sono 14 le denunce che l’Amministrazione Obama ha deciso di presentare all’Omc contro l’ex Celeste Impero. Dai dazi anti dumping sui prodotti in acciaio inox a quelli sull’acciaio laminato a freddo. Per non parlare della guerra del “pollo”.

Roma. La Cina continua a fornire sussidi illegali all’agricoltura. Solo nell’ultimo anno Pechino ha speso 100 miliardi di dollari più del consentito dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) a sostegno dei prezzi del mercato. Risultato? Si è drogata la produzione di riso, grano e mais. Il segretario statunitense all’Agricoltura, Tom Vilsack, da mesi, sotto la pressione del presidente Barack Obama, ha preso di mira il governo di Pechino, iniziando una lenta e costosa guerra dei dazi. “Quando la Cina si è unita all’Omc – ha dichiarato Vilsack – si era impegnata a non alterare il mercato, ma non ha mantenuto l’impegno e noi dobbiamo tutelare i nostri agricoltori”.

 

Questo non è che l’ultimo atto di un conflitto strisciante tra le due superpotenze: sono 14 le denunce che l’Amministrazione Obama ha deciso di presentare all’Omc contro l’ex Celeste Impero. Si va dai dazi anti dumping sui prodotti in acciaio inox a quelli sull’acciaio laminato a freddo: in pratica per difendersi dall’invasione a basso costo di lavatrici si è arrivati a imporre un dazio astronomico del 500 per cento. Per non parlare della guerra del “pollo”. Qui è Pechino che ha alzato le barriere per tutelare la sua produzione, perché quello del pollo un tempo era il più grande mercato estero per i produttori statunitensi. Ma, è la tesi americana, a causa dei dazi alle importazioni le aziende americane ne sono state tagliate fuori. Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura, nel 2015 la Cina ha importato pollame corrispondente solo al 2 per cento (268 mila tonnellate) dei consumi interni.

 

Una “battaglia del pollo” intrapresa da Obama anche nella speranza, sempre più remota, di convincere il Congresso americano ad approvare l’accordo commerciale Trans-Pacific Partnership, l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti e 11 nazioni del Pacifico che mette alla finestra proprio la Cina. Questo mentre l’Europa si gioca la sua politica commerciale con il Nord America ed è divisa tra paesi membri sulla ratifica dei trattati di libero scambio con Stati Uniti e Canada. In Germania il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) al pari dell’accordo di libero scambio con il Canada (Ceta) è oggetto di proteste popolari in piena campagna elettorale per le elezioni del 2017. Il congresso dei Socialdemocratici tedeschi ieri ha trovato in extremis un compromesso sulla posizione da tenere a proposito del Ceta: soltanto così il vicecancelliere e leader dell’Spd, Sigmar Gabriel, che si era detto a favore dell’intesa con Ottawa, è riuscito a salvare il suo posto di fronte agli attacchi dei più critici.

 

Certamente le elezioni presidenziali americane non aiutano a migliorare il clima. Sia il candidato repubblicano Donald Trump sia la democratica Hillary Clinton utilizzano toni protezionistici e si sono schierati contro il Tpp. Alcuni numeri sembrerebbero dargli ragione: gli Stati Uniti hanno importato lo scorso anno 482 miliardi di dollari di prodotti cinesi, contro i 116 miliardi di dollari esportati. Il disequilibrio della bilancia commerciale è enorme. Non è un caso quindi, a differenza delle continue titubanze europee, che gli Stati Uniti sono stati categorici. “Non riconosceremo alla Cina lo status di economia di mercato – ha detti Mike Froman, il rappresentante della politica commerciale – perché significherebbe ‘disarmare unilateralmente’ le nostre difese commerciale”. Obama ha intenzione di andare fino in fondo alla questione.

 

Così il tema è entrato con forza nell’Agenda dei lavori dell’Assemblea delle Nazioni Unite, iniziata ieri in una New York blindatissima dopo i recenti attentati, perché è un luogo simbolo, dove il rispetto delle regole commerciali sono la base di tutto e le azioni predatorie cinesi degli ultimi anni sono sotto gli occhi di tutti (chiedere all’Europa, ad esempio, sulla vicenda della sovrapproduzione d’acciaio). Dall’altra parte però Pechino e il suo presidente Li Keqiang, anch’egli presente all’Assemblea Onu ma con la testa alle visite annunciate a Cuba e Canada, sembrano quasi indifferenti ai “colpi di coda” dell’Amministrazione Obama. Come se la storia fosse già scritta e la goccia cinese molto lentamente abbia rotto gli schemi commerciali. Passato Obama, anche Clinton e Trump sono avvisati.