Hillary Clinton (foto LaPresse)

Hillary la tenace a cui Michelle ha dato un'anima

Annalena Benini
Secondo la first lady, la Clinton è l’unica che può prendersi la responsabilità di formare i figli d’America per i prossimi quattro o otto anni, è l’unica di cui ci si possa fidare “perché è una vita che si dedica ai nostri figli, non soltanto a sua figlia”.

Di che cosa parliamo quando parliamo di Hillary Clinton, ha detto alla convention del Partito democratico Michelle Obama, first lady in uscita, desiderosa di offrire se stessa, soprattutto, come prova di sorellanza verso la regina bionda dell’establishment: parlare di Hillary parlando di sé, parlare delle proprie figlie mostrando che tutti i nostri figli sono coinvolti. Trovare fra sé e Hillary un punto di contatto che vada oltre il femminismo e il desiderio di una donna (una first lady, come lei) a capo della Casa Bianca, a capo anzi “del paese più grande della terra”: così l’ha definito Michelle Obama con orgoglio. L’argomento invincibile allora, strappacuore e ottimista, carnale e concreto, che contiene il futuro e le speranze e il trionfo di un paese, è la parola: figli. “Cuore dei nostri cuori, il centro del nostro mondo”. Una madre lo sa, ha spiegato Michelle Obama, di che cosa parliamo quando pensiamo al loro futuro, alle loro possibilità. Le figlie di Michelle e Barack Obama avevano sette e dieci anni quando sono entrate alla Casa Bianca, quando sono salite sui Suv neri con tutti quegli uomini con le pistole e Michelle racconta di aver pensato: che cosa abbiamo fatto? Chissà se Hillary ha mai avuto dubbi riguardo alla figlia Chelsea, negli anni da first lady, se ha pensato: questa esperienza potrebbe distruggerla, devo fare attenzione. Secondo Michelle Obama, Hillary è l’unica che può prendersi la responsabilità di formare i figli d’America per i prossimi quattro o otto anni, è l’unica di cui ci si possa fidare  “perché è una vita che si dedica ai nostri figli, non soltanto a sua figlia”.

 


Michelle Obama (foto LaPresse)


 

E’ così che Michelle Obama ha ridato anima alla candidata senz’anima, descrivendola come una madre che lotta per i suoi figli. Una donna che è stata madre non soltanto di sua figlia, “puntando alla perfezione”, ma di ogni figlio che ha avuto bisogno di un punto di riferimento, dei bambini che fanno il giro lungo per arrivare a scuola per evitare i bulli, dei bambini che non sanno come permettersi di andare al college, dei bambini che hanno genitori che non parlano una parola di inglese ma sognano una vita migliore, dei bambini che ci guardano per capire chi e che cosa potranno diventare. In questo senso Hillary Clinton ha scelto di essere un “public servant”: ha scelto di servire i figli americani, di fare la differenza nelle loro vite. Nessuno era riuscito a raccontare con questa semplicità, con questo senso della concretezza del vivere, una donna di potere che non è mai entrata nel cuore della gente, che non ha mai acceso di passione gli elettori, e che anzi continua a scontare quella scelta di molti anni fa, in seguito allo scandalo di Monica Lewinsky: restare accanto al marito, proteggerlo, scegliere lo Stato e decidere per se stessa e per sua figlia, non in nome di un femminismo un po’ feroce e pronto a giudicare. In quell’occasione Hillary Clinton ebbe pochissima solidarietà, nessuno si occupò del suo dolore o della sua rabbia, né lei fece mostra di fragilità o chiese aiuto. Forse è anche questo che intende Michelle Obama quando dice che Hillary “non prende mai la strada più facile per svicolare: Hillary non ha mai mollato su niente nella sua vita”. E’ vero, non ha mai mollato su niente, nemmeno quando venne sconfitta alle primarie da Barack Obama. Non fece i bagagli, rimase. Hillary Clinton è sempre rimasta. Proprio come una madre, che non se ne va mai (al massimo minaccia di andarsene, quando è esasperata, ma eccola lì di nuovo a mettere cerotti sulle ginocchia sbucciate, a preparare la cena, a ripassare con i figli per l’esame di maturità, ad aspettare la notte che tornino a casa salvi): una madre ha la forza di perseverare. “Hillary sa che la presidenza riguarda una cosa e una cosa soltanto: lasciare qualcosa di migliore per i nostri figli”. E’ questo l’argomento primario, il punto cruciale, la sostanza di una campagna elettorale: che mondo daremo ai nostri figli, che vita avranno loro, che cosa avranno imparato da noi. Michelle Obama ha detto, nel discorso per il quale il marito ha tuittato: I love you Michelle, che lei e suo marito hanno insegnato alle figlie, e hanno agito per dimostrare a tutti i figli, che il loro motto è: “Quando loro scendono in basso, noi voliamo in alto”. C’è il senso per niente umile di una missione educativa, “per i bambini di questo paese”, ma anche la serietà dell’incarico, l’importanza di offrire un modello, una speranza, un’opportunità. “Voglio un presidente che abbia servito questo paese, qualcuno che abbia fatto un lavoro che dimostri ai nostri figli che non inseguiamo la fama e la fortuna per noi stessi, combattiamo perché ciascuno possa avere una possibilità di successo”. Questo presidente secondo Michelle Obama può essere soltanto Hillary Clinton, madre tenace di tutti i figli d’America, anche di quelli che finora non si sono mai accorti di lei, o non hanno ancora deciso di amarla.

  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.