Usa 2016, Clinton e Sanders in campagna elettorale congiunta

Fischi e slogan forcaioli. Il popolo di Sanders rovina l'esordio di Hillary

I nostalgici del senatore del Vermont non ascoltano i suoi appelli all’unità e rilanciano il trumpiano “lock her up!” – di Mattia Ferraresi

Philadelphia, dal nostro inviato. Un marziano a Philadelphia avrebbe qualche difficoltà a capire chi è il candidato che alla convention si aggiudicherà la nomination, ché le strade della downtown sono tutte un pullulare di Bernie Sanders, in forma di pupazzo carnascialesco, di maschere con occhialoni incorporati oppure incarnato dai sostenitori millennial con maglietta celeste. Al netto della presenza del senatore del Vermont e dell’alleata turboprogressista Elizabeth Warren, il palco del Wells Fargo Center è il regno di Hillary, ma là fuori la piazza è dominata dal popolo di Sanders, che manifesta al grido di “Bernie or Bust” e ostinatamente sostiene che il sistema è “rigged”, viziato da regole che hanno favorito l’eroina dell’establishment democratico. Il falso mito sul ruolo decisivo dei superdelegati viene riproposto con pervicacia nelle conversazioni e nella sloganistica dei manifestanti. Ma il malcontento ha fatto un salto di qualità, e prendendo spunto dalle grida giustizialiste del popolo di Donald Trump, s’invoca la punizione per reati che l’Fbi non considera tali. Per i giurati di Bernie, però, l’ex segretario di stato ha mentito al popolo, ha giocato di sponda con il partito che alle primarie dovrebbe essere neutrale, ha trafugato una nomination che non meritava, quindi è almeno imputabile moralmente. Per i più intransigenti, le responsabilità penali per l’uso sbrigliato delle email personali e il disastro di Bengasi sono corroborate da prove schiaccianti: non bastano le scuse, ci vogliono le manette.

 

Cori e messaggi nei cortei di protesta fanno rima con quelli sentiti la settimana scorsa a Cleveland, nella convention repubblicana che a tratti si è trasformata in un processo sommario in diretta tv. Il caravanserraglio giustizialista s’è trasferito a Philadelphia, con i suoi simboli e le parole d’ordine traghettati sull’altra sponda politica. I sostenitori di Sanders cantano “lock her up!”, sbattetela dentro, e indossano le magliette con la scritta “Hillary for prison”. Le tute arancioni che qualcuno nel consesso repubblicano suggeriva a Hillary di indossare compaiono anche nei cortei sandersiani, convocati nel fine settimana con l’hashtag vagamente minaccioso #SeeYouinPhilly. Un leader repubblicano di livello locale ha detto che Hillary “dovrebbe essere fucilata per alto tradimento”, un’iperbole dalla quale perfino l’imperatore dell’iperbole, Trump, si è smarcato, e certo non è da quelle parti che vanno a pascolare i peripatetici sandersiani, ma poco ci manca. Se il termine “crooked Hillary”, la corrotta Hillary, non è entrato nella terminologia di quelli che la incalzano da sinistra è soltanto perché è un trumpismo troppo puro per essere adottato senza qualche modifica. La morbosa passione per la graticola, per il rovesciamento dei nemici per via giudiziaria, è un tratto che congiunge due popoli lontanissimi per estrazione e sensibilità. Il secondo scandalo democratico delle email, quello che ha svelato che il capo dimissionario del partito, Debbie Wasserman Schultz, durante le primarie favoriva Hillary invece di mantenere l’equidistanza, ha esacerbato gli animi dei sandersiani, già pronti a ingaggiare una battaglia simbolica fuori dal palazzetto. Si vedrà all’interno che cosa faranno i delegati, che non hanno i numeri per impensierire la corazzata di Hillary, ma ogni segno di divisione è un colpo al cuore della candidata che lavora per creare coesione. Le primarie si sono concluse con l’endorsement di Bernie, ma per i fedelissimi è una ferita che non si è ancora rimarginata.

 



Foto LaPresse


 

Lunedì mattina Wasserman Schultz ha parlato alla colazione con i delegati della Florida, ed è stata una pessima idea. E’ stata subissata di cori e insulti, il “vergogna! vergogna!” degli ultrà di Sanders ha soverchiato i cori flebili dei sostenitori della deputata – nemmeno quando ha ricordato le vittime della strage di Fort Myers, in Florida, l’hanno lasciata parlare – che ha infine rinunciato al suo ruolo di cerimoniera con il martelletto per l’apertura dei lavori. I cartelli “grazie per l’aiuto” oppure soltanto “e-mail” hanno reso piuttosto chiaro un malcontento che a Philadelphia appare in forma visibile, sovrapponendosi in modo inaspettato allo spettacolo già visto la settimana scorsa. “Quando sento ‘crooked Hillary’ oppure ‘lock her up’ è ridicolo, davvero ridicolo”, ha detto il candidato vicepresidente, Tim Kaine, pensando forse di riferirsi soltanto alle rappresentazioni forcaiole degli oppositori. Ma il dramma che si sta consumando nei ranghi democratici rinfocola gli istinti antisistema che oscillano da destra a sinistra. Lunedì mattina Bernie ha incontrato i suoi delegati, in quella che si è trasformata in un’adunata adrenalinica. A suo modo, il senatore ha invitato alla coesione, ricordando che il peso politico della campagna ha permesso di “scrivere la piattaforma più progressista della storia del Partito democratico”, la commissione che fa il regolamenti elettorali ha diminuito il numero dei superdelegati e la disonorevole dipartita di Wasserman Schultz “apre la possibilità di conquistare la leadership del partito”. In altre parole, la corrente delle manette e della forca, suggerisce Sanders, farebbe bene a guardare al capitale politico che la cavalcata alla sinistra di Hillary ha generato. Ma quando ha detto che ora “dobbiamo eleggere Hillary” il suo popolo ha reagito con un verso inequivocabile: “Buuuuuu!”.