
Matteo Renzi con il primo Ministro della Repubblica d'Irlanda Enda Kenny (foto LaPresse)
Lezioni irlandesi
Il pil dell’Irlanda nel 2015 è cresciuto del 26,3 per cento. Sì, ventisei-virgola-tre. Non è un errore, ma una revisione della crescita annunciata dall’Irish Central Statistics Office martedì. Roba mai vista nemmeno in Cina, che fa strabuzzare gli occhi a tutti gli economisti. Due fenomeni spiegano i dati stratosferici: un aumento del numero di aerei importati in Irlanda per attività di leasing e l’impennata della massa di capitale delle multinazionali con sede nel paese. “Calcoli economici da leprechaun” (gli gnomi della mitologia irlandese dediti a burle e scherzi, ndr), si è affrettato a dire Paul Krugman. Il premio Nobel fattosi columnist deve essere rimasto piccato: l’Irlanda ha smentito tutte le sue peggiori previsioni. La Troika, le riforme e i tagli alla spesa pubblica hanno permesso ai celti di tornare tigri. Su una sola cosa Dublino ha resistito alla Troika e allo stesso Krugman, per una volta uniti nella lotta alla concorrenza fiscale: l’aliquota dell’imposta sulle società al 12,5 per cento. Quel tasso è la ragione che spinge le multinazionali globali a fare armi e bagagli per ragioni fiscali e trasferire la loro sede tra i “leprechaun”.
Al di là delle distorsioni contabili-statistiche, i numeri dell’Irlanda sono spettacolari. Nel 2015 il pnl, giudicato più affidabile del pil, è aumentato del 17,5 per cento. Prima della revisione, la crescita nel 2015 era comunque stimata al 7,8 per cento. I consumi sono aumentati del 4,5 per cento. Il mercato immobiliare si sta riprendendo. La disoccupazione è precipitata dal 15 al 9,4 per cento. Il debito pubblico, che era passato dal 23,9 al 123,7 per cento tra il 2007 e il 2012 a causa della crisi finanziaria, quest’anno dovrebbe tornare al 75 per cento. Dietro le cifre stellari di un’economia piccola e dinamica si nascondono pericoli vecchi e nuovi, come le bolle pronte a scoppiare e gli effetti della Brexit. Ma l’Irlanda mostra quel che deve fare l’Italia se vuole tornare a crescere. La chiave non è soltanto nella domanda, ma nell’offerta per attrarre investimenti stranieri.
Se Matteo Renzi vuole avvicinarsi a una tassazione in stile irlandese, basta che guardi al rapporto Ceriani del 2011 sulla Tax Expenditure in Italia che recensisce oltre 253 miliardi di deduzioni, detrazioni ed esenzioni fiscali a favore di categorie privilegiate, nel frattempo lievitate oltre i 300 miliardi. Il ministro dello Sviluppo Calenda, intervistato ieri dal Foglio, ha assicurato che un lavoro simile è in corso, speriamo. Le entrate tributarie totali nel 2015 ammontano a 436 miliardi. Toccando la Tax Expenditure, c’è ampio margine per tagliare Ires, Irep e perfino Irpef senza rischiare di violare il Patto di stabilità europeo. Nel momento della Brexit, più che strappare a Londra la sede di qualche agenzia finanziaria europea, occorre prepararsi alla guerra delle tasse per conquistare le imprese in fuga dal Regno Unito.

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