Tim Cook, ceo di Apple (foto LaPresse)

Il fundraising disgiunto di Cook mostra perché Trump non ha fondi

Eugenio Cau
Per le grandi società americane, sponsorizzare la convention dei due partiti è un’occasione importante per oliare senza controversie e in maniera bipartisan i propri rapporti politici. Quest’anno, però, Cupertino ha deciso di boicottare il Gop, e non è la sola.

Roma. Tim Cook, ceo di Apple, è il più recente sostenitore di una strategia peculiare che si sta facendo sempre più largo tra i grandi gruppi industriali e i potenti finanziatori politici americani: il fundraising disgiunto, versione finanziaria di quel #NeverTrump che ancora, seppure sempre più debolmente, trova sostegno in alcune frange del Partito repubblicano. Appena pochi giorni fa, sabato, Politico riportava indiscrezioni – poi confermate dall’azienda lunedì – sulla decisione di Apple di ritirare il sostegno economico e tecnologico alla convention repubblicana di Cleveland a causa delle tirate razziste, bigotte e violente di Donald Trump, che all’evento di luglio si farà incoronare candidato ufficiale del partito. Per le grandi società americane, sponsorizzare la convention dei due partiti è un’occasione importante per oliare senza controversie e in maniera bipartisan i propri rapporti politici. Nel 2008, per esempio, Apple donò 140 mila dollari in computer portatili a entrambi gli appuntamenti, quello democratico e quello repubblicano.

 

Quest’anno, però, Cupertino ha deciso di boicottare il Gop, e non è la sola: secondo diversi report di stampa, anche Wells Fargo, Hewlett Packard, Ford, Motorola, Ups, JpMorgan, Walgreens hanno ritirato la loro sponsorship quando si è saputo che la nomination sarebbe andata al biondo palazzinaro di New York. Ma secondo fonti dell’Huffington Post America, Apple è stata la prima a dirlo esplicitamente: in diversi dialoghi riservati con i dirigenti del Gop, gli uomini di Cook avrebbero indicato che la ragione per il ritiro del supporto è la “retorica bigotta” del loro candidato. Bisogna ricordare inoltre che Trump ha più volte attaccato Apple e il suo ceo, chiedendo un boicottaggio dei prodotti di Cupertino al culmine della diatriba con l’Nsa sulla crittografia (ma inviò il tweet in cui invocava il boicottaggio da un iPhone) e parlando in più di un’occasione di Cook come di un attivista liberal. Altre compagnie della Silicon Valley, come Facebook, Microsoft e Google, hanno invece confermato la loro sponsorship a entrambe le convention.

 


Donald Trump (foto LaPresse)


 

Ma il boicottaggio non vuol dire che Apple, la compagnia di maggior valore di mercato al mondo, possa interrompere i rapporti con il Partito repubblicano solo a causa di Trump. Nelle porte girevoli che da sempre collegano politica americana e Silicon Valley passano sempre più esponenti conservatori, anche se ancora in netta minoranza, e nonostante una spiccata tendenza liberal e libertaria la Valley non ha mai lesinato finanziamenti e sostegni bipartisan. Così ieri si è diffusa la notizia che, pur evitando Trump, Tim Cook martedì prossimo organizzerà a Menlo Park un evento di raccolta fondi per Paul Ryan, speaker della Camera e dignitario più alto in grado del Gop, e per una commissione finalizzata alla rielezione dei repubblicani al Congresso.

 

Quest’evento di fundraising è un’iniziativa privata del ceo di Apple (che nel passato ha fatto donazioni a Barack Obama, ma ha contribuito alle campagne di deputati e senatori tanto democratici quanto repubblicani, seguendo il principio di non tagliare nessun ponte) e non riguarda l’azienda, che per policy “non dà contributi politici a candidati o a partiti”, ma rimane una buona testimonianza di quel “finanziamento disgiunto” che l’ascesa di Donald Trump ha reso sempre più frequente: diamo soldi al Gop, ma non al suo controverso candidato. I risultati sono resi evidenti, almeno parzialmente, dall’abissale differenza di disponibilità finanziaria tra i due candidati alla Casa Bianca. Secondo i dati pubblicati dalla Commissione elettorale federale, la campagna elettorale di Trump ha iniziato il mese di giugno con appena 1,3 milioni di dollari, contro i 41 milioni della democratica Hillary Clinton. Non c’è mai stata così tanta distanza tra i due candidati nella storia americana recente.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.