Una scena di "Ils sont partout"

Ironia contro l'antisemitismo. Il film di Yvan Attal prova a ridere sulla nuova diaspora degli ebrei di Francia

Mauro Zanon
In molti quartieri di Parigi, sia centrali che periferici, la comunità ebraica sta scomparendo. In molti se ne vanno infatti per l'aumento dei casi di minacce e aggressioni. La pellicola del cineasta francese, "Ils sont partout", affronta il problema con sarcasmo e leggerezza.

Parigi. Il primo ministro francese, Manuel Valls, ha presentato in aprile un ambizioso piano di lotta contro il razzismo e l’antisemitismo, contenente quaranta misure incentrate sulla giustizia, l’istruzione e internet. L’iniziativa, promossa dall’unico membro dell’esecutivo socialista che cerca di scuotere la Francia dall’immobilismo, è una risposta all’esplosione degli episodi di odio antiebraico e alla tentazione dell’alyah, il ritorno in Israele, che nel 2015, secondo le cifre del Crif (Conseil répresentatif des institutions juives de France), ha registrato un aumento dell’11 per cento. Ma esistono anche altre armi per lottare contro l’antisemitismo, tra cui quella dell’ironia, che possono indubbiamente favorire le campagne di mobilitazione della République.

 

Yvan Attal, cineasta di nazionalità francese nato a Tel-Aviv da una famiglia di ebrei algerini sefarditi, lo sa bene. Per questo, nel suo nuovo film, “Ils sont partout”, uscito mercoledì nelle sale francesi, ha deciso di impugnare l’arma della risata per fustigare i cliché antisemiti che imperano in Francia. Costruito come un film a sketch, Attal gioca con sarcasmo e leggerezza sui luoghi comuni legati agli ebrei, che “sono dappertutto”, hanno il naso adunco, sono ricchi, hanno ucciso Gesù, fanno i martiri, sono comunitaristi, stimolando allo stesso tempo una profonda riflessione sull’identità ebraica e sul significato di essere ebrei in Francia al giorno d’oggi.

 

Il protagonista, Yvan, che nel film è interpretato dallo stesso Attal, si sente perseguitato da un antisemitismo crescente ed è abituato a sentirsi dare del “paranoico”. Per questo motivo decide di rivolgersi a uno psicologo, per provare a dare una risposta alle sue innumerevoli interrogazioni, o “esagerazioni”, come i suoi conoscenti le considerano. Gli appuntamenti di Yvan con lo psy diventano così il fil rouge che lega gli sketch che compongono il film, e ci restituiscono con humor il punto di vista di una persona che nella vita reale ha provato sulla sua pelle l’insistenza, e spesso la violenza, di questi cliché.

 



 

“Sono stato trattato da ‘sporco ebreo’ nel cortile della scuola”, si ricorda Attal. Che per girare “Ils sont partout”, oltre a Valérie Bonneton, Benoît Poolverde e Gilles Lellouche, si è avvalso del talento della sua compagna, Charlotte Gainsbourg (nel film interpreta il ruolo di Mathilde), che come lui è stata vittima di episodi di antisemitismo. “Quando mio padre è morto, mi ricordo di un volantino, che assomglia incredibilmente alla locandina del film, sul quale c’era la sua testa con dei payot e una kippah su una toilette dove c’era scritto ‘sidagogue’ (incrocio tra “sida”, aids in francese, e sinagoga, ndr)”, ricorda Charlotte Gainsbourg a proposito del celebre padre, Serge.

 

Nello sketch più esilarante del film, l’attore Dany Boom interpreta un ebreo povero che si lamenta di non essere ricco e di avere soltanto “i difetti degli ebrei”. È l’esagerazione del cliché per frantumarlo con più efficacia, “una maniera”, spiega Attal, “per denunciarlo, per ridere un po’ delle cose, per rimettere il dibattito sul tavolo”. Alla fine, il personaggio interpretato da Boom, vince al lotto. “È questa farsa che rende la cosa divertente”, aggiunge il regista.

 

Meno divertenti sono invece le cifre che mostrano la diaspora della comunità ebraica da alcuni quartieri storici di Parigi e alcune periferie dove fino a dieci anni fa vivevano in armonia centinaia di ebrei. “Fino agli anni 2000-2005, la città era piacevole e calma, con 250-300 famiglie ebree e le sinagoghe piene durante lo Shabbat. Ora sono rimaste soltanto un centinaio di famiglie”, racconta sconsolato Alain Benhamou, settantunanni, che ha deciso di abbandonare Bondy, periferia parigina, nell’estate del 2015, dopo aver trovato scritto sulla porta di casa “sporco ebreo”. Come Benhamou, che ha lasciato la sua Bondy a causa dell’irrespirabile clima di insicurezza e di antisemitismo, sono molti altri gli ebrei “esiliati in casa propria”. A Raincy, a pochi chilometri da Bondy, Rabbi Mosh Lewin condivide il pessimismo di Benhamour: “Ciò che mi affligge è che in alcune zone di Francia gli ebrei non possono più vivere in pace, e questo succede anche a cinque minuti da casa mia, dove i bambini sono costretti a nascondere le loro kippah”. Anche Sarcelles, dove la popolazione ebraica è molto presente, le “situazioni di violenza estrema” contro gli ebrei sono all’ordine del giorno, come raccontato dal sindaco François Pupponi. In totale, nel 2015, sono 8.000 gli ebrei francesi ad essere tornati in Israele.

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