Donald Trump (foto LaPresse)

L'appello degli scrittori e il "self exile" delle celebrità. “Se vince Trump ce ne andiamo”

Giulio Meotti
Centinaia di scrittori americani hanno lanciato un appello contro Donald Trump, che ieri ha formalmente raggiunto quota 1238 delegati e ha automaticamente ottenuto la nomination repubblicana. Una scenetta comica che va avanti dalle elezioni del 2000, quando pure dopo Bush restarono tutti.

Roma. Mercoledì scorso 450 scrittori americani hanno lanciato un appello contro Donald Trump, che ieri ha formalmente raggiunto  quota 1238 delegati e ha automaticamente ottenuto la nomination repubblicana prima della convention del partito di luglio. Un blogger sul New York Magazine ironizzava: “Trump perde il voto dei ‘luminari letterari’”. Romanzieri come Stephen King, Junot Díaz, Jennifer Egan, Jonathan Lethem, Michael Chabon e Dave Eggers hanno firmato una lettera aperta in cui esprimono la propria indignazione nel caso in cui il candidato repubblicano alla Casa Bianca dovesse davvero farcela. Si rivolgono al popolo americano, scongiurando una vittoria di The Donald: “La storia delle dittature è storia di manipolazioni e divisioni, demagogia e menzogne”, lasciando intendere che Donald Trump spianerà la strada per la trasformazione della più antica democrazia del mondo in una satrapia demagogica. Intanto, ogni giorno le celebrities dell’impegno annunciano la propria partenza dagli Stati Uniti in caso di vittoria di Trump. In inglese si chiama “self exile”. La cantante Miley Cyrus, dopo aver chiamato Trump “a fucking nightmare”, promette: “Me ne andrò se questo diventa il mio presidente”. L’attrice Whoopi Goldberg: “Forse è il momento per me di andarmene. Posso permettermelo”. L’attore Samuel L. Jackson: “Se quel figlio di puttana diventa presidente porterò il mio culo nero in Sudafrica”. Il reverendo Al Sharpton: “Se Trump è il candidato prenoterò il mio biglietto per uscire da qui”. La cantante Cher: “Se viene eletto me ne vado su Giove”.

 


La cantante Miley Cyrus (foto LaPresse)


 

E poi ancora la sceneggiatrice Lena Dunham: “Conosco un bel posto a Vancouver e posso lavorare da lì”. Trump le ha risposto, sempre a modo suo: “E’ un’attrice di serie B e (la sua partenza, ndr) sarebbe una grande cosa per il paese”. E di fronte alla promessa di un esilio dorato di così tante star, Trump ha anche detto: “Beh, ora devo essere eletto sul serio”. Anche soltanto per il gusto di vederli andare via. Torna in mente un altro esilio dorato promesso da scrittori, attori e star dello spettacolo. Fu quando vinse George W. Bush nel 2000 contro Al Gore. Alec Baldwin e consorte, Kim Basinger, avevano già fatto le valigie, mentre l’anziano regista Robert Altman aveva già trovato una ridente località nella campagna francese. Pierre Salinger, capo ufficio stampa di Kennedy, promise di andarsene in un bed&breakfast nel sud della Francia. Poi arrivarono gli annunci dei vari Michael Moore, Sean Penn, Matt Damon e Barbra Streisand. Anche se quest’ultima non faceva molto testo, visto che è dal 1992 che minaccia di andarsene. Gwyneth Paltrow, l’immagine stessa della serenità, dichiarava: “Se Bush vince è pura frode. E ne sarei così devastata che me ne andrei a vivere in Canada”.

 

Nel 2008 si ripete la scenetta comica, con Susan Sarandon e altri vip che annunciano: “Se vince John McCain, me ne andrò in Italia o in Canada”. Fortuna loro che prevalse Barack Obama. “Se Sarah Palin vince, me ne vado”, promise Tina Fey nel 2012, che ci avrebbe costruito poi una carriera sull’imitazione della governatrice dell’Alaska e la presa in giro del figlio Down. C’è chi ha pensato anche alla Germania, che ha un programma di “visti artistici” se il candidato dimostra di possedere qualità artistiche importanti (un guaio per molti di questi richiedenti asilo). Nessuno di loro avrebbe ovviamente mai messo piede fuori Manhattan e né le banche della Provenza e del Québec avrebbero mai beneficiato dell’espatrio di questi milionari. In Italia ci sono stati i Consolo, i Tabucchi, gli Eco, i Battiato, i Saviano e tutti quelli che hanno minacciato di andarsene dall’Italia se avesse vinto Silvio Berlusconi. L’unico che l’ha fatto davvero è stato Gérard Depardieu. Ha lasciato la Francia di Hollande non perché indignato, ma a causa delle tasse. L’unico “escapista elettorale” con un po’ di coerenza.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.