Donald Trump (foto LaPresse)

Trump è un disastro senza rimedio, ma anche una Nemesi ed eroe naturale

Giuliano Ferrara
The Donald è psicologicamente una grande rivincita, la vendetta còrsa, il pugnale infilato nella giugulare in cui scorrono ettolitri di cazzate e bellurie parademocratiche e illiberali. Tempi duri, roba forte. Prepariamoci.

Trump è simpatico, ammaliante e pericoloso, emana un alone di minaccia, è un megalomane che crede di aver scritto il libro più importante dopo la Bibbia, ha un’oratoria e un carattere roventi, ipersemplificati, che parlano agli istinti, che devastano la cultura politica di riferimento, per quanto male invecchiata e low energy, del Partito repubblicano, e corrodono gli idoli, anch’essi malamente invecchiati, dell’establishment democratico, dei liberal, dei politicamente corretti di cui Hillary Clinton è un simbolo molto debole, insidiato da quel vecchio senatore che “andò in viaggio di nozze nell’Unione Sovietica e non è mai tornato” (il senatore repubblicano Lindsey Graham su Bernie Sanders). Sparla degli immigrati nel paese degli immigrati, danna i latinos messicani con parole spietate, fomenta ogni tipo di paura, il suo ottimismo nazionalista e isolazionista dell’America First e dell’America Great Again è insieme un calco pretenzioso e l’opposto del Morning America di Reagan, è tutto chiacchiera e inesperienza, ha un potenziale esplosivo di cui ancora non è stata valutata, eccetto che nei circoli più intelligenti in cui si annoverano le sue vittime d’elezione, i neoconservatori, tutta l’immensa portata. La sua noncurante attitudine all’insulto, specie verso il genere femminile, non ha niente della manliness, dello spirito cavalleresco, è pura masculinity, bullismo, esibizione di forza.

 

E’ un protezionista, detesta l’Europa e la Nato e tifa Brexit, vuole destrutturare quel che resta del sistema di equilibrio mondiale fondato dopo la Seconda guerra mondiale e basato sul ruolo americano nel mondo, Asia, medio oriente, Africa, America latina. La sua possibile elezione alla Casa Bianca sarebbe gravida di conseguenze destabilizzanti, di crisi internazionale, di rischi militari e diplomatici. In certi momenti lo si guarda storditi, con quella boccuccia piccola, che si ritrae a culo di gallina, con quelle manucce sempre in movimento, con quel riporto bestiale, con quegli occhi intelligenti, furbi, mobili, opportunisti, e con quel sorriso seducente da newyorker che sa come approfittarsi della carognaggine di Maureen Dowd, la columnist in chief del New York Times che ha sempre castigato tutti i conservatori in politica, a eccezione del suo amico Trump, in nome della comune appartenenza allo star system. The Donald è istintivamente un suprematista, è la rivincita dell’uomo bianco nei suoi panni peggiori, costruisce su un’opinione pubblica democratica pazza, guicciardinianamente pazza, incapace di vedere, di discutere, di scegliere razionalmente.

 

Detto questo, bisogna aggiungere che Trump è il puro prodotto della ritirata dei conservatori, rassegnati al minimalismo moderato, e dell’arroganza dei liberal della East Coast, che sotto l’ombrello di Obama vogliono da otto anni rieducare l’America e il mondo, imporre i loro gusti, il loro stile, la loro ideologia melensa Martha’s Vineyard dei diritti eguali che, se non discriminano (ed è da vedere vista la sorte che tocca al free speech nell’America di oggi ipercorretta), certo non distinguono, non accettano la realtà dell’essere, sono un frutto marcio della peggiore scuola decostruzionista. Trump però sa fare i suoi compromessi, che si allineano ai suoi fenomenali colpi bassi, e non colpisce mai la pancia del correttismo, è per la libera toilette in libero stato, è attento a proteggere i costumi del suo tempo mentre corrode il fondamento politico del suo paese e del mondo che largamente ne dipende. Trump presidente è un disastro senza rimedio.

 

Ma è anche il nostro eroe naturale. E’ quello che gliele canta e gliele suona. E’ l’outsider a cui scappano cento verità al giorno. E’ il castigamatti del multiculturalismo impazzito, della floscia tendenza alla sottomissione, della retorica dei diritti che esclude tutto ciò che non è integrabile, identità occidentale compresa. E’ il prototipo dell’occidente urlante di cui parlava ieri in queste colonne il titolo del fantastico saggio di Antonio Pilati. E’ la grande sorpresa americana, lo show più entertaining più pazzo e più godibile del mondo. E’ Berlusconi senza la bonomia, il tratto di vero ottimismo, l’integrazione e disintegrazione nel vecchio sistema, quell’aria di famiglia natalizia e tutta italiana che ha sempre accompagnato l’uomo e il politico capace di insegnare per vent’anni a tutto il mondo la neolingua dell’uomo libero, privato, che si insedia al vertice dello stato e nei precordi della società, uno che la televisione l’ha prodotta ma non ne è il prodotto. E non si vede l’ora di spiegare agli altezzosi censori americani di Berlusconi questa differenza di natura, che si accoppia a una analogia di fenomeno, a tutto svantaggio del loro sistema di demagogia e improbabile dittatura del nullismo relativista. Trump è psicologicamente una grande Nemesi, la vendetta còrsa, il pugnale infilato nella giugulare in cui scorrono ettolitri di cazzate e bellurie parademocratiche e illiberali. Ha fatto prendere il granchio dei granchi perfino a quel furbissimo gesuita che comanda in Vaticano, Papa Francesco. Dovremo sforzarci di capire Trump fino al primo martedì del prossimo novembre, e non è escluso che poi si debbano subire le sue conseguenze. Tempi duri, roba forte.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.