Il premier designato della Libia, Fayez al Serraj (foto LaPresse)

Serraj comincia a chiedere aiuto internazionale, come previsto dai piani

Daniele Raineri
Il premier libico chiede sostegno per l'addestramento delle forze armate. “Ne parlerò ora con i ministri”, ha risposto Mogherini.

Domenica il premier designato della Libia, Fayez al Serraj, ha cominciato a svolgere il ruolo per cui le Nazioni Unite hanno sponsorizzato il piano per portarlo a Tripoli: con una lettera ha chiesto aiuto alla comunità internazionale sotto forma di addestramento per la Guardia costiera, per la marina militare e per l’intelligence. Ieri il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, ha risposto alla richiesta prima della riunione del Consiglio esteri a Bruxelles e ha detto, come previsto, che l’Unione europea intende fornire l’aiuto richiesto. “Ne parlerò ora con i ministri”, ha detto Mogherini.

 


Federica Mogherini, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (foto LaPresse)


 

Si tratta di un primo passo che apre le porte della Libia a un’operazione militare internazionale di aiuto e addestramento, anche se in nessun modo, a questo stadio, è precisata la forma. L’idea circolata parecchio nei mesi scorsi e molto più ambiziosa – quella di un contingente di truppe di terra a guida italiana pronto a sbarcare in alcuni punti strategici del paese per mettere in sicurezza istituzioni e pozzi di petrolio – per ora resta sulla carta, ma si vede infine all’opera il meccanismo che ha portato alla nascita del governo Serraj – governo che è ancora in stato di sospensione a Tripoli. L’idea era: prima un governo di unità nazionale, poi appoggio militare per sradicare lo Stato islamico, rimettere in funzione il settore energia e risolvere il problema dell’immigrazione. E’ facile notare che ora il piano parte senza avere risolto il grande passo preliminare, ovvero mettere d’accordo l’est e l’ovest del paese.

 

Venerdì il generale Khalifa Haftar, che  controlla l’esercito nella Cirenaica, ha detto che non è possibile unirsi al governo di Serraj “fino a che non scioglie le milizie” – riferimento diretto ai gruppi armati che detestano Serraj. L’intervista è un secco rifiuto di adeguarsi al piano internazionale, proprio nel momento più delicato. Ieri Serraj era in Arabia Saudita e negli Emirati, a parlare con i potenti che appoggiano la Cirenaica, Bengasi e quindi il generale Haftar. Qualcuno riuscirà a persuadere il generale?
Venerdì scorso il generale Joseph Dunford, capo di stato maggiore americano, a bordo di un aereo di ritorno da Bruxelles ha detto ai giornalisti che ogni giorno è buono per l’arrivo dell’accordo “che perterà truppe americane in Libia”. Nemmeno Dunford è stato chiaro sul numero o l’entità dell’impegno, ma ha detto che l’intervento americano “è a lungo termine”. Dopo l’Iraq, dove gli americani stanno appoggiando l’offensiva per riprendere la città di Fallujah annunciata domenica sera dal governo di Baghdad, e dopo la Siria, dove sabato il capo del Centcom (il comando del Pentagono che si occupa di medio oriente) ha fatto visita in segreto alla prima linea dei curdi contro lo Stato islamico, l’America sta aprendo un nuovo fronte contro lo Stato islamico in Libia.

 

Come ci hanno abituato questi anni di guerra ibrida e poco spiegata, è un impegno semiclandestino, fatto di forze speciali mescolate ai combattenti libici che da Misurata vanno verso Sirte, intercettazioni, informazioni d’intelligence passate quando il momento è considerato opportuno. Dunfrod ha detto che gli americani vogliono operare nell’ambito di una missione Nato e che si aspetta una richiesta da parte del governo libico. E’ interessante notare che il generale americano ha descritto il governo italiano come molto esitante e guardingo a fornire aiuto: si impegnerà, ma soltanto a condizioni precise, spiega il generale. L’intervista al Corriere della Sera in cui l’ambasciatore americano a Roma chiedeva “migliaia di truppe” all’Italia sembra ormai un ricordo lontano, anche se risale soltanto a marzo. Questa guerriglia vicino Sirte e Bengasi – a cui partecipano anche le forze italiane, come osservatori e non in combattimento – per ora è troppo in anticipo sulla politica. La lettera di Serraj non chiede forze speciali e coordinate satellitari, ma soltanto addestramento. Ora c’è da attendere la risposta che arriverà dall’Unione europea, a cui converrebbe fare in fretta perché un’ondata estiva di migranti si sta raccogliendo sulle coste della Libia.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)