Donald Trump tiene un discorso a Washington in campagna elettorale (foto LaPresse)

Minority Report

Pochi simboli e molte icone. Così Trump ha “incarnato la furia” dei suoi elettori

Giovanni Maddalena

Non si prendono milioni di voti per caso. Breve indagine semiologica e comunicativa sul successo del candidato repubblicano che ha stravinto le primarie. Appunti per provare a capirlo senza passare il tempo a disprezzarlo.

Watch out for the Donald! Trump ha stravinto le primarie battendo sedici avversari, tutti e sedici sostenuti da uno dei partiti più ricchi del mondo. Per non fare lo stesso errore dell’intellighenzia italiana con Berlusconi, passare il tempo a disprezzarlo senza capire come mai la gente lo votasse, forse occorre mettersi a osservare bene il fenomeno Trump. Non si prendono milioni di voti per caso. L’hanno votato tutti, dice lui, e ha ragione. L’hanno votato i cattolici, sapendo che al Papa non è piaciuta l’idea del muro. L’hanno votato gli ispanici, la cui immigrazione illegale Trump vuole combattere. L’hanno votato i fondamentalisti, pur sapendo che Trump è pluridivorziato. L’ha votato la classe media, sapendo che è un plutocrate dalla nascita. Non possiamo in questo caso dire che ha vinto perché è ricco e ha plagiato le folle con la TV. Non perché non sia possibile ma perché nella corsa presidenziale americana tutti sono ricchissimi e perché la rete repubblicana Fox News ha sostenuto tutti prima di rassegnarsi a Trump.

 

Perché l’hanno votato dunque? O’Reilly, giornalista della stessa Fox News, ha ricordato che qualche mese fa K. Steinle, 32 anni, è stata ammazzata per strada a San Francisco da un immigrato irregolare pluricondannato già rispedito in Messico 5 volte, e ritornato 6 volte. Si doveva fare una legge che impedisse casi del genere, ma l’establishment di partito non ha voluto per farne ricadere la colpa su Obama. Per giochi di partito non ha fatto una legge semplicemente giusta. Conclude O’Reilly: “Trump ha incarnato la furia del popolo repubblicano” che pensa che la classe politica sia inetta e corrotta da giochi troppo sofisticati mentre una ragazza innocente muore per strada.

 

Per chi si occupa di segni e comunicazione, la domanda è: come ha fatto Trump a “incarnare la furia”? I segni attraverso i quali inevitabilmente comunichiamo sono strumenti delicati. Le immagini, i suoni, il tono delle parole ci portano l’oggetto assomigliandogli: si chiamano icone e sono segni che hanno il pregio di essere molto vicini al loro oggetto, di comunicarne il feeling, e il difetto di richiedere poca mediazione. Poi ci sono segni, come i cartelli stradali o i nomi propri o le didascalie che portano il proprio oggetto istituendo una connessione non di somiglianza ma in qualche modo diretta, fisica e immotivata: si chiamano indici. E ci sono i segni che funzionano per interpretazione, come le parole dentro a un discorso: si chiamano simboli. La comunicazione ovviamente deve usarli tutti insieme per portare un significato. Tuttavia, ogni epoca comunicativa ne predilige o sottolinea alcuni.

 



 

Tanto per rimanere in Italia e sulla politica, la comunicazione della prima Repubblica era soprattutto simbolica, fatta di discorsi e argomenti. Berlusconi ha introdotto quella indicale, fatta di manifesti con il nome del leader e la sua faccia, annunci veloci, frasi tagliate per riprese televisive di pochi secondi, presenza fisica del leader su ogni canale. Tutti gli altri politici, Renzi incluso, ne hanno seguito lo stile. Non è un caso che spesso dicano di “metterci la faccia”. Chi è rimasto sulle lunghe argomentazioni, ha perso contatto con la gente e molti voti.

 

Trump introduce un passo successivo della comunicazione che è nello spirito del tempo (come dimostra Sanders dall’altro lato): non punta sull’articolazione del discorso né su se stesso, ma solo al sentimento di sincerità, di attaccamento alle cose che le sue parole devono destare (che sia poi vero o falso). Trump inaugura su vasta scala ciò che in Italia si è visto in piccolo solo con gli spettacoli-evento di Grillo: l’èra iconica della politica. Vuol dire che conta il clima che si riesce a creare, che deve far “sentire” iconicamente lo scontro fra la comunità amicale di quelli sinceri e l’affettazione dei “nemici” assaltati con la stessa forza iconica di parole e immagini crude.

 

Si dirà che è un’epoca più barbara o ignorante, ma è forse soprattutto un’epoca comunicativa diversa che ha tanti pregi e difetti quanto le precedenti. Oggi si scusano queste immagini crude come una volta si scusavano le conclusioni violente di lunghi discorsi. Di sicuro, comunicativamente, la Clinton deve stare attenta: con la sua retorica simbolica, da maestrina che dice sempre le cose corrette, quando tutti sanno che il potere richiede molte volte cose dubbie, fa sentire tutta la distanza tra le parole e le cose che il popolo avverte come insincera. Se non cambia tono, magari dicendo duramente quello che la politica richiede e le cose sbagliate che fa fare, rischia di essere travolta anche lei dalla “furia”.