Ted Cruz (foto LaPresse)

Primarie d'America

La sconfitta di Trump nel Wisconsin esalta solo i “realisti magici” del Gop

Cruz martedì ha vinto alla grande in un’eccezione pro establishment, un po’ poco per gridare al “turning point”

New York. Il Wisconsin è la patria ideale di quelli che Chris Cillizza, editorialista del Washington Post, chiama i “realisti magici” del Partito repubblicano, senza offesa per la memoria di Gabriel Garcia Marquez. I realisti magici sono gli esponenti dell’establishment repubblicano che coltivano l’idea che la stagione del trumpismo arrabbiato e sbrigliato si concluderà magicamente con una convention in cui il partito tirerà fuori dal cilindro un candidato moderato, rappresentante di una sensibilità fin qui umiliata in tutti i modi dagli elettori. I realisti magici sognano un’agnizione di Paul Ryan sul palco di Cleveland, sperano in una resipiscenza collettiva dei delegati di Trump, lavorano per propiziare un sorpasso in extremis di Ted Cruz, un ritorno del perdente Mitt Romney o di un insider di partito qualsiasi, senza rendersi conto che proprio questo tipo politico è l’oggetto della rabbia degli elettori. Il Wisconsin è il simbolo della tensione fra realtà e magia elettorale. Cruz ha ottenuto lì la sua vittoria più significativa in queste primarie, conquistando il 48 per cento dei voti e infliggendo a Trump un distacco di 14 punti. Il frontrunner ha perso per via della composizione demografico-ideologica dello stato, non perché ha perso il tocco o la forza inerziale in questa fase della campagna, il famoso “momentum” logorato dalle uscite sulla Nato “obsoleta”, sull’arsenale nucleare di Corea e Giappone, o sulle donne che dovrebbero essere punite se hanno un aborto. Ha perso perché gli elettori repubblicani del Wisconsin sono pragmatici, sono critici ma non indiavolati di rabbia, godono di un tasso di disoccupazione inferiore alla media nazionale, amano il loro governatore, Scott Walker, che è un tipo di conservatore mainstream che alacremente fa e bada al sodo, libero dai fronzoli, con abilità amministrative al di sopra di ogni sospetto e doti narrative inadeguate al palcoscenico della politica nazionale. Walker ha dato l’endorsement a Cruz, e non poteva essere altrimenti. In un contesto del genere, Trump non era in vantaggio nemmeno nei sondaggi più arditi, e può essere letto come un dato negativo per l’establishment il fatto che la posizione di Trump non sia peggiorata di molto rispetto alle previsioni.

 

Significa che il popolo del Wisconsin lo avrebbe castigato anche a bocce ferme, per impostazione e posizionamento ideologico, non ci sono state oscillazioni d’umore sconvolgenti in risposta alla condotta della sua campagna. I realisti magici vorrebbero che l’intero paese fosse un vasto, ragionevole e solido Wisconsin. Finora non è stato così, e in termini strettamente numerici il comportamento degli elettori nello stato di Milwaukee è un’eccezione, non la regola. Cruz martedì ha avuto un’ottima serata, e lo si capisce dal comunicato grondante di frustrazione pubblicato da Trump, solitamente incline a metterci la faccia e il brand anche nelle circostanze negative, ché la copertura mediatica è gradita anche quando è sgradevole. Il populista ha definito Cruz un “cavallo di Troia dei capi del partito” e non ha cercato vie controintuitive per spiegare che nel suo iperspazio politico a quattro e più dimensioni la sconfitta del Wisconsin equivale in realtà a una vittoria. Ma la buona performance di Cruz non regge la retorica del “turning point” esibita nel commosso ed elettrizzato discorso della vittoria, quando ha cercato di convincere gli elettori che lo stato non è un isolotto dominato da una mentalità pro establishment, ma l’entusiasmante inizio di una primavera cruziana. Presto il partito germoglierà, dice Cruz, anche se in giro non s’è vista nemmeno una rondine. La sola strategia per una resurrezione riposa sull’estenuante sottrazione dei delegati dal paniere di Trump in vista della convention. Le proiezioni del sito FiveThirtyEight ora dicono che Trump arriverà alla convention con una cinquantina di delegati in meno rispetto a quelli necessari per sigillare la nomination. La strada della “contested convention” è ancora aperta, ma le prove che sia effettivamente praticabile non vanno cercate nell’eccezione del Wisconsin.