Donald Trump e Bernie Sanders

America irreligiosa

Redazione
Il luogo comune, che sempre esprime un’aliquota di verità, vuole che l’America sia tranquillamente pronta, dopo il presidente afroamericano, ad eleggere anche una donna, ma il candidato irreligioso non è il tipo che piace al paese.

Il luogo comune, che sempre esprime un’aliquota di verità, vuole che l’America sia tranquillamente pronta, dopo il presidente afroamericano, ad eleggere anche una donna, ma il candidato irreligioso non è il tipo che piace al paese. La maggior parte degli americani da sempre ritiene importante che il presidente abbia convinzioni religiose chiare. Sulla confessione si può pure ragionare – l’unico presidente cattolico ha promesso di governare e vivere nel modo meno cattolico possibile – ma il commander in chief un qualche senso della trascendenza deve pur averlo, altrimenti addio all’eccezione della modernità e al suo Dio, che deve benedire l’America, aiutare il presidente a governare e infondere fiducia nel popolo. I tre contendenti più quotati di questa tornata elettorale, però, sono anche quelli considerati meno religiosi. Nelle piane religiose dell’Iowa Hillary Clinton si è messa a commentare il sermone della montagna per ricordare agli smemorati che lei è di purissima estrazione metodista (il 43 per cento dei democratici pensa che non sia una persona religiosa). Il suo sfidante, Bernie Sanders, nemmeno ci prova a reggere la finzione, e al solito gioca la carta dell’autenticità: “Non sono coinvolto in nessuna religione organizzata”. In altre parole: “Penso che ognuno creda in Dio a suo modo, per me significa che siamo tutti connessi”.

 

Un tipo “spiritual but not religious”, come un millennial qualsiasi. In fondo alla classifica dell’istituto Pew sulla percezione religiosa dei candidati c’è Donald Trump, che non è presbiteriano nemmeno la domenica, ma ha dalla sua una truppa di televangelisti arrabbiati niente male. “La storia di Trump con la religione dovrebbe essere preoccupante per la maggior parte degli evangelici”, ha ricordato David O’Connell, studioso del rapporto fra politica e fede, e in effetti è complicato immaginare qualcosa di più secolarizzato del frontrunner con il ciuffo. Se la gioca da favorito pure in Iowa, dove i religiosissimi Rick Santorum e Mike Huckabee hanno trionfato nelle ultime due tornate, spegnendosi poco dopo, com’era normale. Sono finiti in un angolo minoritario i candidati che usano leve religiose classiche: le tecniche per galvanizzare gli evangelici, le adunate di preghiera, l’oratoria da sermone, le battaglie sociali. E’ una tendenza che riflette l’aumento degli americani, soprattutto i giovani, che rispondono “none” alle domande sull’affiliazione religiosa, ma allo stesso tempo mantengono un qualche legame con il divino, concepito come faccenda interiore o come ideale da corso di self-help.  Un dio comunque minore e cangiante, rigorosamente disorganizzato e adattabile, profilato con i big data, essere non proprio supremo creato a immagine e somiglianza dei candidati